Joker spiega la psicoterapia: ecco come è diventato così

Joker spiega la psicoterapia: ecco come è diventato così

Joker spiega la psicoterapia: la sua risata come momento di massima sofferenza

Joker spiega la psicoterapia. Joker è un film che mette in scena l’importanza della ricostruzione narrativa nella comprensione di una storia di vita. La sua racconta come sia arrivato a essere quello che è. Conosciamo Joker per il suo rapporto con Batman, come un personaggio negativo che stimola sentimenti di rifiuto. Ma conoscendo la sua storia personale riusciamo a dare un senso e a comprendere (che, lo ricordo, non vuol dire giustificare) il significato dei suoi comportamenti; forse addirittura arriviamo a empatizzare con lui, che finora ci era apparso solo come un crudele assassino.

La sadica risata che conosciamo è il risultato dell’integrazione patologica di aspettative familiari (l’altrettanto patologica madre gli chiede costantemente di ridere), di una non maturata capacità di contenere le emergenze emotive e di probabili danni neurologici dovuti ai maltrattamenti subiti da piccolo. Quella che abbiamo sempre interpretato solo come segnale della sua cattiveria è soprattutto l’espressione della sua più grande sofferenza. Il personaggio mostruoso assume ai nostri occhi caratteristiche umane.

Quella di Arthur Fleck, futuro Joker, è una storia fatta di abusi, di negazione, di segreti familiari. Alla disfunzionalità dell’ambiente familiare si aggiunge l’emarginazione e la non considerazione dell’ambiente sociale, incapace di compensare le ingiustizie e le carenze subite.

Non solo Arthur perde il lavoro, ma anche l’assistenza sociale e con essa il sostegno psicologico e farmacologico che lo tenevano ancora nei limiti. Vittima di violenzeverbali e fisiche anche nella quotidianità extrafamiliare, Arthur si lascia andare all’istinto che lo porta a mettere in atto un progetto di violenza come reazione. Progetto che gli permette di ottenere, senza volerlo, una popolarità, anche se in negativo, prima impensabile. Arthur/Joker diventerà finalmente visibile e testimonial di tutti gli invisibili che la società ignora e che vedono in lui una possibilità di riscatto da una vita disgraziata.

La ricostruzione della storia ci fa vedere Joker sotto un’altra luce: ora sappiamo come è arrivato a diventare così. In generale l’essere umano è il risultato di un percorso di relazioni e il disagio psichico è il risultato di una storia relazionale disfunzionale. La ricostruzione della storia personale rende coerente comportamenti attuali, altrimenti incomprensibili.

È quello che accade nelle psicoterapie: l’atto terapeutico, a partire da sintomi e comportamenti apparentemente incomprensibili e disfunzionali, mira a ottenere una ricostruzione della storia della persona e, attraverso essa, a produrre un cambiamento. La costruzione dell’identità personale è un lavoro di individualizzazione e differenziazione dal mondo, in particolare dalle figure di riferimento significative; il che implica un modo di vederle e un modo di sentirsi con loro.

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Depressione, secondo un focus colpisce di più donne e poveri. Ma è veramente così?

Depressione, secondo un focus colpisce di più donne e poveri. Ma è veramente così?

Secondo un focus la depressione colpisce soprattutto le donne e poveri, è davvero così?

Il disagio mentale è in aumento in Italia: lo dice il Focus sul Disagio Mentaledell’Osservatorio nazionale per la Salute nelle regioni del Policlinico universitario Gemelli Irccs di Roma. Secondo le analisi, contribuiscono a questo fenomeno l’invecchiamento della popolazione e le condizioni socio-economiche sempre più precarie. È un disagio che prende soprattutto la forma di disturbi depressivi, con ricadute importanti sulla società, sulle famiglie e sul servizio sanitario.

Siamo in un periodo di riscoperta dell’importanza del piano psicologico e della sofferenza psichica: spesso accade di riconoscere la matrice depressiva in un disturbo fisico. Il disagio mentale è riscontrato e diffuso nella popolazione comune ed è un segno di una reazione a condizioni generali di vita, oltre che a storie personali difficili.

La depressione, intesa come un’alterazione dell’umore verso forme di profonda tristezza (con sentimenti di inutilità, di perdita di interesse, di negatività, di colpa, dove l’attività si riduce, l’autostima si abbassa e c’è incapacità di provare piacere), è a volte una reazione comune a eventi dolorosi della vita: separazioni, perdite, delusioni, mancato raggiungimento di obiettivi o presa di consapevolezza di un proprio limite.

Le si riconosce una funzione evolutiva perché permette di elaborare quello che è accaduto e cosa l’ha innescata e di risolverlo nel tempo attraverso il ritiro in se stessi: spesso infatti la persona depressa si isola. Allontanarsi dal mondo e ripiegare su se stessi è la soluzione naturale a questo stato d’animo, è una forma di auto-aiuto, un modo fisiologico di rigenerarsi di ritrovare in sé la soluzione. Secondo il Focus le donne sono più colpite: sembra che quelle con disturbo depressivo siano quasi il doppio degli uomini tra gli utenti dei servizi specialistici per la salute mentale. Va comunque considerato che tradizionalmente le donne manifestano più apertamente il disagio (nella forma sopra descritta), ne hanno di solito più consapevolezza e inoltrano maggior richieste di aiuto.

Ancora secondo il Focus i disturbi depressivi sono quasi il doppio più frequenti tra chi ha un basso livello di istruzione e basso reddito. Per quel che si capisce però, i dati si riferiscono all’affluenza ai servizi sanitari pubblici e perciò non tengono conto di tutto il settore privato a cui affluiscono, probabilmente, le richieste di aiuto di chi ha più risorse economiche. Secondo l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) infatti, la depressione non conosce distinzioni di tipo socioeconomico, ma colpisce indistintamente tutti. Se la depressione colpisce tutti i ceti sociali, evidentemente è poi diverso il modo in cui si manifesta e in cui viene ricercata la soluzione a seconda delle possibilità economiche: nel privato appunto per chi a più possibilità, nel pubblico per chi ne ha meno.

Infine il lavoro: è innegabile che la condizione di disoccupazione sia un elemento penalizzante: il lavoro è uno dei pilastri dell’identità personale e perderlo o non riuscire a trovarlo è un problema non solo economico, ma che va a riverberare sul proprio senso di sé. Essere disoccupati significa perdere di definizione, di potere, avere meno punti di riferimento. Sentimenti di esclusione, incapacità e inadeguatezza personali sono frequenti. Quella che chiamiamo depressione ha spesso questi contenuti.

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Lo Psicologo di base

Lo Psicologo di base

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Psicologo di base, nuove speranze per una figura da affiancare al medico

Ci sono speranze per lo psicologo di base.

Qualche giorno fa sono state pubblicate le traduzioni in italiano del Piano d’Azione per la Salute Mentale 2013-2020 (WHO Mental Health Action Plan 2013-2020) e del Piano d’Azione Europeo per la Salute Mentale (European Mental Health Action Plan), ad esso complementare, che guideranno le politiche degli Stati membri in tema di salute mentale fino al 2020.
I disturbi mentali rappresentano una delle più importanti sfide per la salute pubblica della Regione Europa, secondo stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) interessano oltre un terzo della popolazione ogni anno e i disturbi più diffusi sono la depressione e l’ansia. I disturbi mentali rappresentano la principale categoria di malattie croniche in Europa.

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L’accesso universalistico, il pieno rispetto dei diritti umani, l’equità, l’attenzione a tutte le fasi del ciclo di vita, l’empowerment delle persone con l’esperienza del disturbo mentale, l’approccio multisettoriale e gli interventi fondati su evidenze sono i principi e gli obiettivi indicati nei Piani di Azione.

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Vi si parla indistintamente di disagio psichico e disturbo mentale.

Ma depressione e ansia sono reazioni fisiologiche a eventi stressanti della vita ed è più giuste considerarle come disagio psichico che è poi l’aspetto prevalente in cui si manifestano.

Considerarle indistintamente disturbi significa dare loro una connotazione unicamente negativa e affrontarle e curarle come malattie, perciò lavorare per eliminarle, significa favorire il percorso di estraniamento della persona dalle sue emozioni e dai suoi stati d’animo, allontanandola dalla “guarigione” che in termini psicologici è piuttosto la reintegrazione di quegli stessi stati d’animo all’interno della propria narrazione, del proprio modo di dare significato alle esperienze, della propria coerenza interna.

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Un attacco di panico per esempio è un’emergenza emotiva risultato di un personale modo di essere e di elaborare l’esperienza, di una deficitaria capacità di riconoscere e attribuirsi certe reazioni emotive che vengono ignorate o relegate sullo sfondo, per emergere poi prepotentemente come un’onda anomala. Considerarlo come una malattia e basta, come dicevo, significa intervenire per eliminarlo e favorire l’estraneità al sintomo che ne è all’origine e con essa l’aumento della probabilità di altre emergenze emotive. Una lotta senza fine.

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Depressione: il cellulare può essere un valutatore di rischio?

Depressione: il cellulare può essere un valutatore di rischio?

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Il cellulare come nuovo test di valutazione della salute psichica delle persone che lo usano? Così sembra evidenziare lo studio di David Mohr pubblicato sul Journal of Medical Internet Research, o per lo meno il cellulare come strumento rivelatore di rischio. La ricerca di Mohr identifica il punto di demarcazione tra depressione e non depressione nella soglia dei 68 minuti quotidiani di utilizzo dello smartphone, lo usa più di 68 minuti chi è depresso, meno di 68 chi non lo è.

Gli autori riconoscono la relatività e la parzialità dei risultati dello studio effettuato su 40 individui precedentemente valutati attraverso un questionario sulla depressione. I risultati sono stati poi messi in relazione al tempo e al luogo di utilizzo del cellulare. A pensarci bene i risultati ottenuti confermano informazioni note: chi vive uno stato depressivo manifesta un repertorio di comportamenti e spostamenti più limitati rispetto a chi non lo è e quando ci si trova nello stato di sofferenza, si tende a ricercare fonti di distrazione e lo smartphone sembra piuttosto adatto a questa esigenza.

Quanto è effettivamente utile misurare, catalogare, descrivere, ridurre a pochi dati uno stato d’animo ben più complesso che è spesso il risultato di un lungo percorso? quanto aiuta soffermarsi ulteriormente – dico ulteriormente visto che è un atteggiamento prevalente nell’approccio di studio alla persona – su aspetti descrittivi e misurabili di un fenomeno così sofisticato? Più che misurare e numerare, sarebbe forse più utile significare. Monitorare e diagnosticare una persona attraverso una app, spostare il controllo del proprio equilibrio da una consapevolezza interna ad una misurazione sempre un pò più esterna e farla gestire da altri, esperti o device che siano: che senso ha considerando l’importanza delle relazioni nelle origini della sofferenza emotiva e nell’esito di una cura?

Chi è sufficientemente in contatto con se stesso sa da solo come si sente, chi invece lo è di meno potrebbe trovare poco giovamento da una diagnosi “a sua insaputa” come sarebbe quella della app. La diagnosi si aggiungerebbe alle tante cose che sembrano non appartenergli e che finirebbe magari per controllare.

La depressione è un’alterazione dell’umore verso forme di profonda tristezza, con riduzione dell’autostima, bisogno di autopunizione, perdita di interesse, riduzione dell’attività, incapacità di provare piacere. Segue a volte eventi che si prestano ad essere vissuti come perdita, fallimento, delusione: la perdita di qualcosa o di qualcuno, il mancato raggiungimento di obiettivi o la presa di consapevolezza di un qualche proprio limite. Allontanarsi dal mondo e chiudersi in se stessi è la soluzione naturale a questo stato d’animo, rifugiarsi in se stessi è una forma di auto-aiuto, un modo fisiologico di rigenerarsi. Consideriamo che la depressione, come tutti gli stati d’animo e le emozioni umane, non è una condizione stabile ma variabile, che può aumentare o diminuire in rapporto a diversi fattori.

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La depressione – Una profonda tristezza

Alle soglie dell'eternità Van Gogh

Van Gogh – Alle soglie

dell’eternità

La depressione – Una profonda tristezza

La depressione o melanconia è quell’alterazione dell’umore che si manifesta sotto forma di profonda tristezza, con riduzione dell’autostima e bisogno di autopunizione.

La psichiatria classica descrittiva, distingue tra depressione endogena e depressione reattiva per differenziare l’alterazione dell’umore che nasce da origini interne all’individuo (endogena) da quella reattiva ad avvenimenti luttuosi o tristi(reattiva).

Secondo più recenti modelli teorici di riferimento, definiti esplicativi (come per esempio l’approccio cognitivista post razionalista), questa distinzione non esiste dal momento che il vissuto soggettivo è unico anche se può essere originato sia da stimoli esterni, riconoscibili – eventi luttuosi o tristi appunto – a chi osserva, che da stimoli interni meno evidenti anche a chi è a stretto contatto con il soggetto.

Lelemento centrale della caduta depressiva dell’umore è la perdita, perdita che può essere una perdita affettiva, per esempio dovuta alla separazione più o meno definitiva da una figura significativa, oppure di altra natura: perdita del lavoro, della stabilità economica, dell’immagine consapevole di sé o di una figura significativa, perdita della sintonia nella coppia, ecc..

La depressione si manifesta attraverso una serie di segnali cognitivo-emotivo-comportamentali precisi: demotivazione, perdita di interesse verso gli obiettivi principali della vita, perdita di fiducia nel futuro, attività mentale rallentata, diminuita, inefficiente, l’attività motoria e le cure personali possono gradualmente ridursi, è presente un sentimento costante di stanchezza e stancabilità.

L’insonnia è spesso uno dei sintomi iniziali, così come l’inappetenza, la diminuzione dell’interesse sessuale, la diminuzione delle funzioni epato-biliari, la tristezza profonda con sensi di colpa accompagnati da un’autoaccusa continua e senso di indegnità personale e autodisprezzo. Perdita di iniziativa e di progettualità.

Il desiderio di morte è una delle sfaccettature del vissuto depressivo.

A volte la depressione può manifestarsi in forma di ciclotimia ovvero di alternarsi di cadute dell’umore ed euforia oppure di oscillazioni tra vissuti di disperazione e rabbia.depressione

Fasi depressive attraversano la vita di tutti gli individui come episodi legittimi e comprensibili, il soggetto si ritira gradualmente dalla scena sociale e ripiega su se stesso, è un processo fisiologico mirato a diminuire il flusso di informazioni in entrata e il recupero delle risorse personali per migliorare le proprie condizioni, cosa che avviene quando l’individuo ha in sé gli strumenti e la consapevolezza per superare lo stato depressivo.

Se l’individuo non possiede gli strumenti o non ne ha consapevolezza, lo squilibrio depressivo prende forme più marcate.

Come tutte le altre reazioni affettive, anche la depressione ha la sua ragione di essere perchè, portando l’individuo a ripiegare su se stesso, permette il recupero dell’equilibrio rotto dalla sofferenza. Diventa disfunzionale se rimane un tratto stabile dell’umore dell’individuo e il ripegamento su se stessi non conduce ad un recupero emotivo ma ad un isolamento sempre più marcato.

In questi casi è auspicabile un aiuto esterno che. data le caratteristiche della sofferenza, è particolarmente difficile ricercare per il depresso. Quando un individuo depresso riesce ad attivarsi e chiedere una qualsiasi forma di aiuto, è già avanti nel suo processo di cambiamento.