Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmailby feather

img_0932

Il cellulare come nuovo test di valutazione della salute psichica delle persone che lo usano? Così sembra evidenziare lo studio di David Mohr pubblicato sul Journal of Medical Internet Research, o per lo meno il cellulare come strumento rivelatore di rischio. La ricerca di Mohr identifica il punto di demarcazione tra depressione e non depressione nella soglia dei 68 minuti quotidiani di utilizzo dello smartphone, lo usa più di 68 minuti chi è depresso, meno di 68 chi non lo è.

Gli autori riconoscono la relatività e la parzialità dei risultati dello studio effettuato su 40 individui precedentemente valutati attraverso un questionario sulla depressione. I risultati sono stati poi messi in relazione al tempo e al luogo di utilizzo del cellulare. A pensarci bene i risultati ottenuti confermano informazioni note: chi vive uno stato depressivo manifesta un repertorio di comportamenti e spostamenti più limitati rispetto a chi non lo è e quando ci si trova nello stato di sofferenza, si tende a ricercare fonti di distrazione e lo smartphone sembra piuttosto adatto a questa esigenza.

Quanto è effettivamente utile misurare, catalogare, descrivere, ridurre a pochi dati uno stato d’animo ben più complesso che è spesso il risultato di un lungo percorso? quanto aiuta soffermarsi ulteriormente – dico ulteriormente visto che è un atteggiamento prevalente nell’approccio di studio alla persona – su aspetti descrittivi e misurabili di un fenomeno così sofisticato? Più che misurare e numerare, sarebbe forse più utile significare. Monitorare e diagnosticare una persona attraverso una app, spostare il controllo del proprio equilibrio da una consapevolezza interna ad una misurazione sempre un pò più esterna e farla gestire da altri, esperti o device che siano: che senso ha considerando l’importanza delle relazioni nelle origini della sofferenza emotiva e nell’esito di una cura?

Chi è sufficientemente in contatto con se stesso sa da solo come si sente, chi invece lo è di meno potrebbe trovare poco giovamento da una diagnosi “a sua insaputa” come sarebbe quella della app. La diagnosi si aggiungerebbe alle tante cose che sembrano non appartenergli e che finirebbe magari per controllare.

La depressione è un’alterazione dell’umore verso forme di profonda tristezza, con riduzione dell’autostima, bisogno di autopunizione, perdita di interesse, riduzione dell’attività, incapacità di provare piacere. Segue a volte eventi che si prestano ad essere vissuti come perdita, fallimento, delusione: la perdita di qualcosa o di qualcuno, il mancato raggiungimento di obiettivi o la presa di consapevolezza di un qualche proprio limite. Allontanarsi dal mondo e chiudersi in se stessi è la soluzione naturale a questo stato d’animo, rifugiarsi in se stessi è una forma di auto-aiuto, un modo fisiologico di rigenerarsi. Consideriamo che la depressione, come tutti gli stati d’animo e le emozioni umane, non è una condizione stabile ma variabile, che può aumentare o diminuire in rapporto a diversi fattori.

leggi tutto il post su Il Fatto Quotidiano