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Le origini della festa della mamma risalgono all’antica Grecia. Quella di oggi è una mamma che alla possibilità biologica della maternità ha integrato la realizzazione e affermazione personale anche al di fuori della genitorialità, con non poche difficoltà. Su questo sono state già scritte molte cose.

Mi stimola di più il dibattito sulla effettiva necessità di festeggiare la mamma di fronte a donne che magari madri non lo sono diventate pur volendolo o di fronte a bambini che la mamma non ce l’hanno più, perché non c’è più, perché se n’è andata o perché è poco presente. Soprattutto questo secondo caso direi. Non voglio discutere su quanto possa essere giusto o meno la festa in sé, ma stimolare una riflessione su un problema che si pone per esempio a scuola se le maestre vogliono far preparare i lavoretti da regalare alle mamme.

La reazione è spesso quella di evitare, come atteggiamento protettivo verso i bambini mancanti, per paura di stimolare una sofferenza, sottolineare la diversità, creare un danno. In realtà proteggere i bambini dalle loro storie non sembra così funzionale, sarebbe come dire che non sono in grado di elaborare sentimenti di perdita o di abbandono, e questo sì che potrebbe essere dannoso. I bambini non possono e non devono essere protetti dalle emozioni negative, se queste sono coerenti con le loro esperienze di vita. Devono piuttosto essere aiutati ad esprimerle, a manifestare il dispiacere e la sofferenza, a farli defluire.

Guardiamoci dentro e chiediamoci se, nel tentativo di proteggere un bambino dalla sua sofferenza, stiamo davvero esprimendo una sensibilità o piuttosto stiamo proteggendo noi stessi da quella stessa sofferenza. Come anche (ci stiamo proteggendo), dalla personale incapacità di accoglierla, dalla personale incapacità di sostenere e consolare.

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