Come abituarsi al cambio ora: gli effetti dell’ora solare su corpo e mente  continua su: https://www.fanpage.it/stile-e-trend/benessere/come-abituarsi-al-cambio-ora-gli-effetti-dellora-solare-su-corpo-e-mente/ https://www.fanpage.it/

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Domenica si dorme un’ora in più e si torna all’ora solare: degli effetti “collaterali” su corpo e mente ne abbiamo parlato con la psicoterapeuta Patrizia Mattioli.

Si tratta di spostare le lancette soltanto di un’ora, eppure per tantissime persone l’ultima domenica di ottobre è sempre un dramma. Nonostante si guadagni un’ora di sonno, il ritorno all’ora solare, per molti è estremamente sgradito. “Sono probabilmente più sensibili al cambio le persone che sono già provate dai ritmi della vita quotidiana – ha spiegato a Fanpage.it la psicologa e psicotereapeuta Patrizia Mattioli – Per loro il cambio dell’ora rappresenta la goccia che fa traboccare il vaso”.

Gli effetti del cambio ora sul sonno

Con l’ora solare si dorme di più, le lancette si spostano all’indietro e si recupera un’ora di luce al mattino. Ma cambiano i nostri rimi circadiani, ovvero il nostro orologio interno che regola molte funzioni cicliche del nostro corpo. “I ritmi circadiani consistono proprio nell’alternanza di sonno e veglia nell’arco delle 24 ore. E possono essere necessari alcuni giorni affinché il nostro orologio interno si adatti al nuovo orario” spiega Mattioli. Non sorprendiamoci allora se andiamo incontro a qualche disturbo del sonno

dopo il cambio ora: si tratta di un evento assolutamente normale dovuto proprio all’impatto di quell’ora “guadagnata” sui nostri ritmi circadiani.

Le conseguenze del cambio ora sul corpo

Oltre a causare problemi con il sonno, il ritorno all’ora solare può provocare anche degli effetti collaterali sul corpo, come la cefalea o una maggiore stanchezza. “Molte conseguenze del cambio d’ora come spossatezza, affaticamento, irritabilità e malumore, sono fisiologiche e legate al brusco cambiamento. Ma nella maggior parte dei casi sono spesso di lieve entità e si attenuano fino a scomparire con l’avanzare delle settimane, man mano che ci si riadatta al nuovo orario” chiarisce Mattioli.

Gli effetti del cambio ora su mente e umore

Il cambio dell’ora influisce moltissimo anche sull’umore, tendenzialmente peggiorandolo. “L’ora solare si va a inserire nel nostro modo di vivere, che è già abbastanza stressante fatto di una routine poco rispettosa dei ritmi umani più basilari, ma le reazioni dipendono molto da come ci trovano, da quanto siamo in equilibrio in quel preciso momento”. Le reazioni sono diverse non solo da persona a persona, ma si può essere anche diversi da sé stessi con il passare degli anni. “Per molti spostare le lancette in avanti (quando c’è il passaggio all’ora legale) genera un miglioramento netto del tono dell’umore perché quell’ora di luce in più la sera ha un effetto molto positivo (anche se stancante visto che si dorme un’ora in meno) e toglierla ha il suo effetto opposto, per altro le giornate sono già più brevi e tornare indietro di un’ora dà l’impressione di ritrovarsi ancora più al buio e in qualche modo sentirsi catapultati nell’inattività”. La riduzione dell’esposizione alla luce solare infatti influenza moltissimo il nostro stato d’animo. “Il ritmo circadiano si regola proprio con la luce del giorno e il buio della notte ed il ritmo sonno veglia è anche quello che regola il difficile equilibrio degli ormoni”. Pensiamo a chi esce per andare a lavorare al mattino presto quando ancora non è sorto il sole e rientra che è già buio. “Alzarsi presto, attivarsi prima del resto della natura, senza luce solare, e uscire quando non è ancora sorto il sole è più faticoso per il corpo. La luce del mattino è preziosa per innescare i ritmi naturali del corpo e influisce ovviamente anche sull’umore”. Poi ogni persona, a seconda dello stato psicologico e fisiologico in corso, può reagire in modo molto diverso. “Chi trae giovamento dall’ora legale, può vivere peggio il ripristino dell’ora solare e il contrario vale per chi invece l’ora legale la subisce. Anche qui vale molto il momento di vita personale. In generale andare verso la stagione invernale significa meno vita all’aperto, meno luce, meno uscite e vita sociale e questo può avere una ripercussione maggiore in chi attraversa un momento di maggiore fragilità, di maggiore sensibilità o ha già una flessione dell’umore per altri motivi, in chi insomma è già in un momento di vita più critico – continua Mattioli – “D’altra parte molti amano l’autunno anche per questo, per le sue caratteristiche perché rallenta tutto, spegne in qualche modo il calore dell’estate, ci autorizza a rintanarci e godere della comodità casalinga, e quell’ora di sonno rubata che ritorna è molto gradita”.

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Al GfVip vedrei bene una seduta di gruppo: con Bellavia e i bulli a confronto guidati da psicologi

Al GfVip vedrei bene una seduta di gruppo: con Bellavia e i bulli a confronto guidati da psicologi

 

Marco Bellavia si è ritirato dal Grande Fratello Vip perché non ce la faceva più a reggere la sofferenza di essere isolato e bullizzato dai compagni, per la sua fragilità emotiva.

Alla domanda del conduttore sul perché del loro atteggiamenti, alcuni inquilini della casa hanno risposto che pensavano che Marco fingesse e che la sofferenza facesse parte del personaggio. Altri si sono giustificati dicendo che non si capiva che soffrisse.
Molti di loro lo hanno evitato nei momenti di maggiore disagio.

Per mantenere il punto sui propri comportamenti ed evitare di mettersi in discussione, si può attribuire alla vittima la colpa delle proprie azioni, arrivando in casi estremi a privarla di qualità umane. La vittima non è più vista come una persona, ma come una minaccia che a quel punto è giusto isolare, maltrattare o addirittura eliminare. E’ quello che accade in guerra o più comunemente nelle relazioni conflittuali dove un partner è maltrattante e giustifica le proprie azioni con il modo di essere dell’altro, con le sue “colpe”.

La produzione del Grande Fratello ha subito espulso quelli che più direttamente hanno infierito contro Marco. La prossima puntata, ironia della sorte, va in onda lunedì 10 ottobre, data proclamata “giornata mondiale della salute mentale”.

Espulsioni e sanzioni certamente non miglioreranno l’immagine di un programma spesso criticato per i suoi contenuti. È possibile poi che la produzione stessa (autori, conduttore, vertici Mediaset), debba accertare le proprie responsabilità sulla violenza privata trasmessa. Molti telespettatori si sono infatti rivolti al Codaconsche ha presentato un esposto sul caso alla Procura della Repubblica.

Al di là di quanto sia giusto che accadano certe cose e che poi vadano in onda, la vicenda ci fa parlare di salute mentale. Qui il problema non è solo di Marco, ma di tutto il gruppo e attraverso il gruppo si può risolvere.

Non facciamo l’errore di credere che gli esseri umani si dividono in sani e malati e che il malato sia quello che dichiara di esserlo. Chi lavora con la sofferenza lo vede tutti i giorni: in una coppia che viene alla consultazione per esempio c’è spesso il partner etichettato come “più emotivo” perché esprime apertamente la sofferenza, ma non è detto che sia quello che soffre di più.

A livello sociale viene più apprezzato chi è “meno emotivo”, che viene in genere considerato più forte, salvo poi stupirsi quando le persone hanno reazioni ‘esplosive” giudicate inaspettate e imprevedibili.

La fragilità che si esprime attraverso le paure e le cadute dell’umore, non è poi così lontana da quella che si manifesta con la freddezza e l’aridità d’animo. Piaccia o meno, sono due facce della stessa medaglia nel senso che entrambe indicano un disequilibrio. Più si è distanti da se stessi e dalle proprie emozioni, più si cerca di allontanare e di allontanarsi da chi la sofferenza mentale la manifesta. Nessuno è mai così sicuro di come è dal punto di vista emotivo affettivo, perciò non è mai così sicuro di “non” avere un disturbo mentale, e chi dichiara di soffrirne rappresenta un pericolo.

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40 anni di emoji: non sempre raggiungono l’obiettivo ma diminuiscono i rischi

40 anni di emoji: non sempre raggiungono l’obiettivo ma diminuiscono i rischi

 

40 anni di emoji per migliorare la comunicazione virtuale. Comunicare è quasi un’arte. Inviare messaggi che vengano interpretati da chi li riceve con il significato di chi li invia è un’impresa non da poco. Se il rischio di incomprensioni e fraintendimenti è insito in ogni comunicazione umana, è certamente più alto nella comunicazione testuale, dove la componente non verbale è quasi assente. Il piano non verbale con le espressioni del viso, il tono di voce, le pause e tutto il resto, trasmette infatti informazioni essenziali su come intendere il messaggio che si riceve. Per questo sono nate le forme grafiche e i simboli che utilizziamo nei messaggi online.

L’emoticon, l’antenata delle attuali faccine sorridenti, creata per caso da un docente di informatica con due caratteri speciali della tastiera :), compie 40 anni. Un lungo periodo in cui ha dimostrato la sua utilità nell’indicare il senso da dare a un contenuto, tanto da evolversi nelle sue forme più attuali: gli emoji, veri e propri pittogrammi di facce, oggetti, animali, simboli e tanto altro. Un supporto rilevante all’obiettivo di diminuire il più possibile i rischi di fraintendimenti nella messaggistica online, fatta appunto soprattutto di testo.

Mi è capitato recentemente di esprimere, in un messaggio (senza faccine), una perplessità a una collega su una sua proposta. La perplessità è stata interpretata come una contestazione personale e ha stimolato una reazione inaspettata che ci ha portato lontano dal tema oggetto del messaggio. Gli emoji non sempre raggiungono l’obiettivo ma magari avrebbero attenuano la lettura più personale.

Sappiamo che ogni essere umano, grazie a schemi operativi interni che matura a partire dalla nascita – in base allo stile di attaccamento e all’atmosfera familiare che sperimenta – ha un suo modo di interpretare le cose che gli accadono, un modo personale di ricavare dai messaggi a cui è esposto: chi è lui, come viene visto dagli altri, cosa può aspettarsi da loro.

In mancanza di informazioni precise da parte dell’interlocutore, ognuno tende automaticamente ad attribuire significati in base ai propri schemi, alle proprie aspettative e alle proprie convinzioni e prevenzioni più personali. E’ perciò molto facile incorrere nell’incomprensione, lo sperimentiamo quotidianamente, proprio nelle relazioni che consideriamo significative, quelle che ci coinvolgono di più, relazioni familiari, relazioni sentimentali, di amicizia…………

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La scuola non è percepita come luogo sicuro dagli studenti: manca il dialogo coi docenti

La scuola non è percepita come luogo sicuro dagli studenti: manca il dialogo coi docenti

Per gli adolescenti di oggi la scuola non è un luogo sicuro in cui mettersi alla prova, crescere, imparare. Il 30% dei ragazzi vive infatti l’istituzione scolastica come luogo di insicurezza e disagio, spesso scenario di atti di violenza e bullismo.

E’ quello che emerge da una ricerca internazionale appena pubblicata su Frontiers in Psychiatry. Il gruppo di esperti guidato dall’Università di Turku in Finlandia ritiene che il problema assuma dimensioni globali e che uno dei motivi principali sia la fine del dialogo tra insegnanti e ragazzi.
Gli autori confermano con questa ricerca un concetto che chi lavora nella scuola – insegnanti, personale Ata, soprattutto psicologi scolastici – sa da sempre: quanto sia importante la scuola nello stimolare sentimenti di sicurezza e protezione negli studenti e quanto questi siano soprattutto veicolati dalle relazioni che vi si stabiliscono, in particolare dalla relazione tra studente e insegnante.

La famiglia ha il suo ruolo nella costruzione della personalità dello studente, su questo non c’è dubbio, è ampiamente dimostrata l’importanza della relazione con le figure di attaccamento, genitori o loro sostituti; ma dobbiamo considerare che la scuola è un luogo in cui si trascorre molto tempo e per forza di cose vi si costruiscono rapporti significativi e in grado di incidere sull’equilibrio o comunque sullo stato d’animo di uno studente.

La scuola ha il suo peso, in positivo e in negativo: e può indistintamente essere fonte di disagio o diventare una base sicura – e luogo in cui “rifugiarsi” se le relazioni in famiglia sono, più o meno temporaneamente, instabili – a seconda che si riesca o meno a costruire rapporti significativi positivi al suo interno.

Lo studente oggi fa più fatica a trovare a scuola un adulto di riferimento in grado di vederlo per quello che è, di riconoscerlo come essere umano nella sua unicità e confermarlo, perché l’insegnante è appesantito da troppe ingerenze e a volte anche da troppi studenti da seguire, complice anche la pandemia e la diversa modalità di fare scuola. Se la scuola dunque è un ambiente fondamentale per la tranquillità e il benessere personale dei suoi protagonisti, deve essere adeguato l’investimento che si fa su di essa, deve essere riconosciuto come un luogo in cui l’obiettivo non è soltanto didattico ma anche, anzi soprattutto, relazionale, formativo, educativo in generale.

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Huggy Wuggy, il pupazzo può spaventare i bambini: certe paure vanno ridimensionate

Huggy Wuggy, il pupazzo può spaventare i bambini: certe paure vanno ridimensionate

 

Il campionario delle paure infantili può contare su un nuovo personaggio mostruoso: il neonato Huggy Wuggy, pupazzo terrificante del primo capitolo del video-gioco horror Poppy’s Playtime. Egli è il risultato di crudeli esprimenti effettuati negli anni Ottanta in una fabbrica di giochi per bambini poi andata in rovina.

Animato da una coscienza umana deviata, Huggy Wuggy, personifica le paure e ha già traumatizzato molti bambini in tutto il mondo. Come è possibile? Ogni bambino ha la sua storia e la sua sensibilità alle cose che gli accadono. Il percorso di crescita è accompagnato da una serie di paure che vengono considerate fisiologiche, il prezzo da pagare per il graduale aumento dell’autonomia che corre parallelo alla preoccupazione per la propria sicurezza e per quella delle figure di riferimento.

Agli aspetti emotivo affettivi, si aggiungono altri elementi. Nella sua forma inanimata, Huggy Wuggy assomiglia al classico pupazzo di peluche che infonde calore, ma ha una testa mostruosa. Sembra un dolce orsacchiotto, ma ha denti affilati e cattive intenzioni. I due opposti aspetti rendono difficile al bambino più piccolo la lettura univoca del personaggio. Il pensiero infantile funziona ancora in modo concreto, cioè si basa soprattutto su fatti del mondo fisico (all’opposto del pensiero astratto). Egli non sa quale delle due parti privilegiare ed entra in crisi.

Nel videogame e nelle clip musicali presenti in rete, poi, Huggy Wuggy canta canzoncine dal ritmo piacevole e orecchiabile dove parla però di abbracci mortali. Il mostro sbuca all’improvviso e si avvicina velocemente allo schermo e all’osservatore. Sequenze veloci, in grado di suscitare un senso di minaccia che stona con la melodia della canzoncina.

Huggy Wuggy e il suo gioco sono stati concepiti per spaventare gli adulti e i bambini non dovrebbero vederlo ma, come ha sottolineato la polizia postale, purtroppo il materiale è presente in rete anche in luoghi accessibili ai più piccoli. Non basta il parental control per delimitare il raggio di navigazione dei più piccoli. E allora è importante che i genitori si attivino, che si informino sul gioco e il suo personaggio e lo spieghino ai bambini. Che insegnino loro come avvicinarsi al web e ai giochi online, e l’importanza del rispetto delle regole e dei divieti. Se il bambino entra comunque in contatto con visioni inadeguate alla sua età e sviluppa ansie e paure che influiscono sulla sua quotidianità, è importante che i genitori e comunque le persone che si prendono cura di lui lo aiutino a ridimensionarle. Nello stesso tempo però è importante che comprendano quali altri elementi contribuiscono, perché se le paure permangono e si irrigidiscono potrebbe non essere legato solo a visioni inadeguate.

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