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mattioliLa violenza verso il partner

E’ giusto, chi mette in atto comportamenti violenti se ne deve assumere la responsabilità. Se la violenza verso un partner fosse però solo un problema di chi la compie, basterebbe allontanarsi, fisicamente ed emotivamente, dalla relazione per smettere di subire, mentre le cose si presentano più complesse. Uno dei problemi di certe coppie, è la difficoltà di entrambi i partner di allontanarsi uno dall’altro. Il legame che li unisce è spesso molto forte e mantenuto da entrambi.

La persona che si comporta violentemente, agisce un impulso che non riesce a contenere. E’ il segnale di una sofferenza non percepita come appartenente a sé, al proprio modo di essere, alla propria sensibilità, ma attribuita totalmente all’altro che, spesso se ne assume la responsabilità, entrambi consapevolmente o meno. I comportamenti e gli atteggiamenti che violano lo spazio e la dignità personale dimostrano che i partner hanno pochi strumenti per elaborare certi vissuti a livelli più alti di complessità, vissuti che rimangono più che altro a livello di reazioni viscerali e istinti e come tali agiti.

Una violenza può assumere tante forme: verbale, fisica, manifestarsi attraverso un tradimento, il punto centrale, io direi, è che la sofferenza e il comportamento violento che ne segue vengono attribuiti all’altro.

L’altro può subire, mettendosi in una posizione che Pauk Watzlawick definisce complementare, accettando l’attribuzione e la punizione che ne segue: “ti ho urlato, tradito, aggredito, perché sei incapace, inadeguato/a, distratto/a, sciocco/a, ecc…”, “mi ha urlato, tradito, aggredito, perché sono incapace, distratto/a, inadeguato/a,..”, con gli epiloghi drammatici che conosciamo.

Oppure mettersi in posizione simmetrica e rimandare le reazioni al mittente: “mi ha urlato, tradito, aggredito, perché è cattivo/a, prepotente, indegno/a, scorretto/a,…” in un escalation di aggressività reciproca che può portare a conclusioni altrettanto drammatiche. C’è un film di qualche anno fa, La guerra dei Roses, che dietro la contesa per una casa, ben rappresenta la difficoltà di una coppia di sciogliere il legame e di come questa possa portare all’autodistruzione.

Valutare le cose come dinamica di coppia, non significa promuovere la terapia di coppia.

In una terapia, di coppia o individuale che sia, ci si trova sempre, o quasi, ad affrontare problematiche relative ai legami sentimentali dal momento che, come diceva John Bowlby, le maggiori sofferenze gli esseri umani le sperimentano mentre sono impegnati nella costruzione, nel mantenimento e nella rottura di legami affettivi importanti.

Chi da la responsabilità dei propri stati emotivi all’altro, è difficile che intraprenda una terapia di coppia, per lo meno spontaneamente, è più facile che ci venga trascinato e che utilizzi quello che emerge in seduta come ulteriore conferma delle responsabilità dell’altro. E’ un terreno minato sia per la coppia che per il terapeuta, quest’ultimo deve tutelare i due partner da sovraesposizioni personali inadeguate al momento.

Non tutte le richieste di terapia di coppia possono essere accolte. A volte emerge chiaramente che le dinamiche di coppia sono disfunzionali, ma altrettanto chiaramente che uno o entrambi i partner stanno facendo i conti con sofferenze precedenti che trovano nelle dinamiche di coppia il loro alimento, ed è meglio che ognuno segua prima o contemporaneamente un percorso personale di presa di consapevolezza del proprio modo di funzionare.

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