Videogiochi, dare significato alla dipendenza

Videogiochi, dare significato alla dipendenza

Lo smartphone, i videogiochi e la tecnologia, sono oggi parte integrante della nostra quotidianità e di quella dei nostri ragazzi: li divertono e li coinvolgono, tanto quanto preoccupano i loro genitori. Da più parti si alzano grida di allarme sui rischi legati all’utilizzo sfrenato di strumenti digitali e sono frequenti le richieste di consulenza su questo argomento.

Il papà di Alberto, secondo liceo, chiede un colloquio perché è preoccupato per suo figlio: da due mesi il suo rendimento scolastico è crollato e Alberto sembra aver perso la motivazione alla scuola, da alcuni giorni si rifiuta addirittura di andarci. E’ tutta colpa dei videogiochi secondo il padre, ultimamente si è appassionato a questa attività va con il cellulare in rete e ci sta per ore, trascurando tutto il resto.

La mamma di Riccardo, primo liceo, è molto preoccupata le sembra che suo figlio abbia un rapporto morboso con i giochi elettronici. Riccardo è un ragazzo tranquillo, un po’ chiuso, lei lo riprende quando gioca troppo, lui si ritira in se stesso, a volte piange.

Da qualche mese ha problemi a scuola. Hanno provato a togliere la consolle per eliminare una distrazione dall’impegno scolastico, ma il risultato non è stato positivo e Riccardo ha avuto una brusca caduta dell’umore.

Hanno mantenuto ugualmente il punto fino al miglioramento scolastico e gli hanno restituito il videogioco, di nuovo si è verificata un’immersione morbosa nel gioco e un nuovo peggioramento scolastico. L’hanno tolta di nuovo, altra caduta dell’umore.

Il padre di Pietro, secondo liceo, è preoccupato perché il ragazzo nell’ultimo anno ha avuto un forte calo nel rendimento scolastico e un marcato ritiro sociale, sembra poco interessato agli amici reali, e molto a suo agio con gli amici virtuali, rimane volentieri a casa a giocare in rete.

Non gli sembra neanche suo figlio che era sempre pronto ad uscire. Secondo lui dipende dal videogioco.

E’ facile attribuire ai videogiochi, alla tecnologia e alla rete i problemi che si osservano nei ragazzi. I genitori più diffidenti non hanno un’idea di cosa essi facciano mentre sono concentrati sul cellulare, o sulla consolle e tendono a giudicare il tutto come un’unica attività e dannosa.

Nello smartphone, per dirne uno, c’è tutto: la radio, la televisione, la rete, i libri, i video e tutti gli spazi social in cui possono incontrare gli amici e chattare con loro.

Il cellulare è ritenuto oggi uno strumento utile anche ai fini didattici, molti insegnanti invitano gli alunni a visitare siti o pagine tematiche in classe, durante la lezione; a casa spesso lo consultano mentre fanno i compiti per ricercare materiali, fare traduzioni, ecc…

Certi genitori “più moderni” hanno invece con la tecnologia lo stesso rapporto che rimproverano ai figli, e sembrano poco attendibili quando li biasimano perché trascorrono troppo tempo in rete.

E’ importante trovare il tempo giusto da dedicare al digitale e aiutare i figli a regolarsi, ma è anche importante capire quale è il motivo quando questo risulta difficile da mettere in pratica.

Alberto, Riccardo e Pietro, presentano comportamenti simili, tutti sono molto assorbiti dal gioco che diventa la causa di tutto. Spesso però le cose sono più complesse e il videogioco più che la causa, è la forma che assume il disagio, il sintomo di un problema più ampio e come tale può essere una porta di accesso per la comprensione di ciò che ne sta alla base.

Non si nega che un’immersione massiccia nel gioco può avere ripercussioni negative, ma per fare interventi costruttivi è importante comprenderne il significato che assume per il giocatore, soffermarsi sugli aspetti positivi dell’utilizzo del videogioco.

Alberto ha rapporti insoddisfacenti con i compagni di classe. Mentre parliamo il genitore riconosce che le cose sono peggiorate quando Alberto ha vissuto una delusione, uno dei compagni con cui era entrato più in confidenza, ha poi raccontato i fatti suoi agli altri, ad Alberto è sembrato un tradimento.

In un secondo momento ottengo altre informazioni dagli insegnanti: Alberto nello stesso periodo ha avuto anche contrasti con due ragazzi del quarto anno. Forse è successo anche qualche cosa in famiglia, ma il padre non ricorda.

Nel ricostruire la storia della fuga nel videogioco, non va cercato un unico evento, che potrebbe anche esserci, ma una concomitanza di eventi. Immaginiamo il contesto in cui emerge un disagio, come un puzzle in cui ogni tessera ha il suo valore e concorre alla costruzione dell’immagine, nel nostro caso del disagio.

Alberto ha avuto problemi all’ingresso al liceo, è stato difficile per lui legare con i nuovi compagni perché tutti molto impegnati, chi con il calcio, chi con altri sport, non ha trovato lo spazio e la considerazione che si sarebbe aspettato. Alla scuola media invece era molto considerato.

Giocare in rete, sentire di appartenere alla comunità virtuale del gioco e lì interagire e costruirsi un ruolo, rappresenta un divertimento, ma anche un tentativo di soluzione alle frustrazioni nel mondo reale.

Molti genitori ritengono che la cosa migliore quando i ragazzi sono troppo presi dal gioco sia toglierglielo. Ma se si interviene senza aver capito qual è la funzione del videogioco, si rischia di stimolare reazioni difficili da gestire e di lasciare il ragazzo senza strumenti per fronteggiare/compensare il disagio che ne è all’origine.

E’ quello che è successo a Riccardo – le brusche cadute dell’umore – quando gli è stata tolta la consolle. Lui è bravo nel gioco, ha acquisito prestigio nella comunità virtuale. Mentre in quella reale ha qualche difficoltà: non esce con i compagni di classe, ha lasciato il basket perché non si trovava più bene nel gruppo. Secondo la madre, se con il videogioco sta compensando qualcosa, questo è il sentimento di inadeguatezza per il suo aspetto fisico, non è molto alto e ha le imperfezioni tipiche del momento di crescita.

Riccardo non va di solito a casa degli altri anche se è invitato. In realtà non ha molta libertà dalla famiglia, non gli è consentito uscire la sera, mentre i suoi compagni hanno molta libertà. Loro si incontrano, vanno in giro, così Riccardo rimane indietro nelle relazioni. I genitori hanno paura a lasciarlo più libero. Nel gioco invece può muoversi come vuole. Quando sua madre glielo ha sequestrato per l’ennesima volta, contrariamente alle volte precedenti, ha avuto una reazione violenta, ha sentito minacciata la sua libertà virtuale.

Pietro invece si ritrova in un indirizzo di studio che non gli appartiene, lui avrebbe scelto le scienze umane, ma non era approvato dalla famiglia. Suo padre e sua madre sono separati in casa e la madre soffre di un non ben identificato disturbo psichico. Pietro ha anche una serie di problemi legati alla crescita, ha l’acne, l’apparecchio per i denti. il suo senso di proponibilità sociale è piuttosto basso. Rifugiarsi nel videogioco rappresenta un’evasione dal disagio della sua realtà familiare, scolastica, e dai sentimenti di inadeguatezza .

Mentre gioca invece si sente un grande, ma più si sente grande in rete, più aumenta il sentimento di inadeguatezza fuori. Ad un certo punto ha esagerato, per aumentare il punteggio e rafforzare la sua autostima virtuale ha cercato delle scorciatoie ed è stato squalificato, dovrà stare fermo per un po’.

L’eccessivo utilizzo dei videogiochi da parte dei ragazzi, sembra un tentativo di soluzione delle crisi personali. Alla base delle evasioni virtuali di Alberto, Riccardo e Pietro ci sono le rispettive frustrazioni reali e i sentimenti che riescono a provare nel gioco li sostengono nella vita reale.

Bisogna riconoscere che i nuovi videogiochi sono irresistibili anche per chi non vive grandi frustrazioni. Studiati e costruiti con grande cura, hanno molti strumenti per coinvolgere un giocatore e stimolare quello che viene chiamato l’effetto flow, cioè l’assorbimento totale nel gioco.

I videogiochi coinvolgono in comportamenti che fanno già parte delle nostre abitudini. Nella vita quotidiana è pratica comune, a prescindere dal sesso e dall’età, immaginare di essere qualcun altro: i bambini nei loro giochi, gli attori su un palco o davanti all’obiettivo di una telecamera. Chi ha un po’ di immaginazione mette in pratica quello che rappresenta un gioco identitario.

Le realtà̀ virtuali e in particolare i videogiochi hanno aperto una nuova affascinante frontiera per la conoscenza, la sperimentazione e il gioco di se stessi: tale opportunità̀ offerta dalla tecnologia videoludica segue di pari passo l’evoluzione strettamente tecnica e grafica dei prodotti e dei dispositivi, nel senso che i videogiochi, dai primi prodotti costituiti da simboli e luci, hanno presto cominciato ad acquisire importanti connotazioni narrative. Si sono trasformati in storie, fatte di personaggi, ambienti, incontri, emozioni e colpi di scena. Questo li rende indubbiamente molto attraenti.

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Depressione: il cellulare può essere un valutatore di rischio?

Depressione: il cellulare può essere un valutatore di rischio?

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Il cellulare come nuovo test di valutazione della salute psichica delle persone che lo usano? Così sembra evidenziare lo studio di David Mohr pubblicato sul Journal of Medical Internet Research, o per lo meno il cellulare come strumento rivelatore di rischio. La ricerca di Mohr identifica il punto di demarcazione tra depressione e non depressione nella soglia dei 68 minuti quotidiani di utilizzo dello smartphone, lo usa più di 68 minuti chi è depresso, meno di 68 chi non lo è.

Gli autori riconoscono la relatività e la parzialità dei risultati dello studio effettuato su 40 individui precedentemente valutati attraverso un questionario sulla depressione. I risultati sono stati poi messi in relazione al tempo e al luogo di utilizzo del cellulare. A pensarci bene i risultati ottenuti confermano informazioni note: chi vive uno stato depressivo manifesta un repertorio di comportamenti e spostamenti più limitati rispetto a chi non lo è e quando ci si trova nello stato di sofferenza, si tende a ricercare fonti di distrazione e lo smartphone sembra piuttosto adatto a questa esigenza.

Quanto è effettivamente utile misurare, catalogare, descrivere, ridurre a pochi dati uno stato d’animo ben più complesso che è spesso il risultato di un lungo percorso? quanto aiuta soffermarsi ulteriormente – dico ulteriormente visto che è un atteggiamento prevalente nell’approccio di studio alla persona – su aspetti descrittivi e misurabili di un fenomeno così sofisticato? Più che misurare e numerare, sarebbe forse più utile significare. Monitorare e diagnosticare una persona attraverso una app, spostare il controllo del proprio equilibrio da una consapevolezza interna ad una misurazione sempre un pò più esterna e farla gestire da altri, esperti o device che siano: che senso ha considerando l’importanza delle relazioni nelle origini della sofferenza emotiva e nell’esito di una cura?

Chi è sufficientemente in contatto con se stesso sa da solo come si sente, chi invece lo è di meno potrebbe trovare poco giovamento da una diagnosi “a sua insaputa” come sarebbe quella della app. La diagnosi si aggiungerebbe alle tante cose che sembrano non appartenergli e che finirebbe magari per controllare.

La depressione è un’alterazione dell’umore verso forme di profonda tristezza, con riduzione dell’autostima, bisogno di autopunizione, perdita di interesse, riduzione dell’attività, incapacità di provare piacere. Segue a volte eventi che si prestano ad essere vissuti come perdita, fallimento, delusione: la perdita di qualcosa o di qualcuno, il mancato raggiungimento di obiettivi o la presa di consapevolezza di un qualche proprio limite. Allontanarsi dal mondo e chiudersi in se stessi è la soluzione naturale a questo stato d’animo, rifugiarsi in se stessi è una forma di auto-aiuto, un modo fisiologico di rigenerarsi. Consideriamo che la depressione, come tutti gli stati d’animo e le emozioni umane, non è una condizione stabile ma variabile, che può aumentare o diminuire in rapporto a diversi fattori.

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