Le storie dei personaggi famosi, come Adele ad esempio, offrono il pretesto per parlare di problematiche diffuse.
Adele voleva compensare la profonda ferita causata dall’assenza del padre nella sua vita costruendo una famiglia sua, visto che non ne aveva avuta una. Voleva proteggere suo figlio dall’esperienza che lei stessa aveva vissuto. Non esserci riuscita, aver divorziato e “smantellato la vita di mio figlio per la mia” ha generato forti sensi di colpa e attacchi di panico.
Del panico si è parlato in questi giorni e voglio aggiungere qualcosa.
Se è vero che non ci sono segnali premonitori di un attacco di panico, che per definizione è inaspettato e imprevedibile, si può però cogliere un aumento dei fattori di rischio rispetto a esso. Fattori forse utili per la prevenzione o anche solo per rispondere alla domanda: perché un attacco di panico adesso? Perché ora e non prima, o dopo? Cos’è cambiato da altri momenti in cui si è verificato quello stesso segnale fisico che oggi scatena l’ansia intensa e innesca quel senso di allarme, di pericolo, di perdita di controllo?
Spesso, ricostruendo la storia delle persone, si ritrovano, come per Adele, cambiamenti importanti nelle relazioni significative. Non servono anni di terapia per ricostruire una storia di vita e/o i momenti di vita che precedono l’esordio di un sintomo, ma piuttosto un’indagine precisa, che ripercorra la strada a ritroso e raccolga le chiavi di lettura attraverso le quali la persona dà significato all’esperienza.
La salute mentale oltre il Covid: gli investimenti continueranno anche dopo l’emergenza?
Il 10 ottobre è la giornata mondiale della salute mentale.
La salute mentale è importante: per l’Organizzazione mondiale della Sanità, è una componente essenziale della salute in generale, “uno stato di benessere nel quale una persona può realizzarsi, superare le tensioni della vita quotidiana, svolgere un lavoro produttivo e contribuire alla vita della propria comunità”.
Belle parole dovrebbero avere un risvolto concreto: si dovrebbe investire molto sulla prevenzione, sulla psicologia che è la scienza che per definizione si occupa della costruzione delle condizioni di benessere.
Ci sono paesi in cui gli psicologi sono presenti nelle scuole, nelle aziende, paesi dove le persone hanno accesso alla consulenza e alla cura psicologica nei servizi pubblici. In Italia è diverso, a fronte di tante buone intenzioni corrisponde molto poco di quello che viene prospettato.
Poi tra le persone che vorrebbero accedere a servizi di psicologia, ci sono quelli che se la prendono con gli psicologi – piuttosto che rivolgersi a chi è nella posizione di cambiare le cose – che sono percepiti quasi come professionisti che vogliono arricchirsi alle spalle di chi soffre, che sfruttano la sensibilità delle persone. Anche le cure del dentista devono essere pagate per lo più di tasca propria, ma i dentisti non vengono percepiti così.
C’è chi ritiene che la psicologia sia inutile e che le cose hanno spiegazioni molto concrete. Spesso non si distingue tra quello che si dovrebbe fare per risolvere un problema e quello che realmente si riesce a fare. E che se una persona non riesce è per una personale incapacità o perché non vuole.
Quando non si riesce a raggiungere un obiettivo nonostante lo si voglia, è probabile che ci si trovi di fronte a un ostacolo psicologico che, se non viene riconosciuto e approfondito, può diventare un problema più grande trasformarsi in sintomo fisico o mentale ecc… Piaccia o meno, l’essere umano è il risultato dell’integrazione tra corpo e psiche: il corpo che si ammala influenza lo stato emotivo e gli stati emotivi influiscono sul corpo, facendolo ammalare. Ce lo spiega bene la psicosomatica.
Pensiamo alla pandemia: chi si è ammalato ha fatto i conti con i sentimenti di fragilità e vulnerabilità, con la paura di non farcela, con il senso di solitudine e di abbandono per l’isolamento a casa o all’ospedale, chi non si è ammalato ha vissuto la paura di ammalarsi, di perdere persone care o ha vissuto il dolore di averle perse e l’impotenza di fronte anche all’impossibilità di salutarle. Tutti gli altri, privati di libertà date sempre per scontate, per il bene comune, hanno dovuto affrontare lo stare da soli con se stessi o la convivenza forzata con i familiari. Quello che non si è potuto evitare o che non si è riusciti a comprendere è diventato un sintomo.
Il coronavirus – e le sue implicazioni – è forse l’esperienza più attuale che ha reso meglio questo concetto, perché non è stato, non è, solo una malattia che colpisce chi lo contrae, ma è stato, ed è all’origine di sofferenze psicologiche altrettanto importanti.
La reazione delle autorità alle problematiche psicologiche conseguenti alla pandemia e al lockdown è stata qui più puntuale. Si era prospettata l’idea di finanziare bonus per i cittadini che offrono spese per le cure psicologiche.
L’attuale instabilità di governo consentirà di mantenere i lavori in corso che riguardano la psicologia?
Penso al Tavolo di Lavoro Tecnico sulla Salute Mentale costituito dal Ministero della Salute dove si dovrebbe parlare, tra le altre cose, di psicoterapia. La salute mentale è un argomento divenuto molto centrale in questo periodo anche se a causa, o grazie, a una pandemia. Molte indagini dimostrano un significativo aumento della sofferenza psichica nella popolazione, probabilmente ognuno di noi la tocca con mano perché la vive personalmente.
Auguriamoci che il Tavolo di Lavoro non rallenti troppo il suo percorso e che la legittima attenzione abbia poi una ricaduta concreta a favore di chi non ha possibilità di accedere al supporto di psicoterapia privata.
Se da una parte l’apertura di un Tavolo di Lavoro per la psicoterapia fa sperare in una soluzione strutturale per la gestione del disagio e della sofferenza, dall’altra i tempi lunghi che questi iter comportano rendono necessarie soluzioni più veloci per fronteggiare il bisogno urgente di sostegno psicologico. A questo scopo erano stati immaginati e richiesti a più riprese dal nostro Ordine Professionale e dal nostro Ente di Previdenza dei voucher, sin dall’inizio della pandemia, a parziale copertura delle spese sostenute per il ricorso al sostegno psicologico privato. Potevano e potrebbero essere una soluzione intermedia alle richieste urgenti
Un gesto concreto, quello dei voucher come anche la prospettiva di una “psicoterapia di base”, che aiuterebbe molti ad avvicinarsi ai servizi di psicoterapia e che avrebbe l’effetto anche più importante di riconoscere e legittimare la sofferenza psicologica. Purtroppo i percorsi mirati a istituzionalizzare la psicologia sono spesso rallentati o interrotti dal sopraggiungere di altre priorità.
E’ ormai appurato che investire nella psicologia renda molto di più di quanto si spende. Investire nella psicologia e nella psicoterapia significa investire concretamente nella costruzione e/o nel consolidamento della resilienza personale, cioè nella capacità individuale e collettiva di affrontare le situazioni difficili, come quella attuale. La capacità di resilienza si costruisce nel tempo, è molto legata all’equilibrio psicologico che è a sua volta in relazione diretta all’atmosfera psicologica vissuta a partire dalla nascita e i primi anni di vita. Può comunque sempre aumentare o diminuire nel corso dell’esistenza. Eventi esterni o interni che stimolano forti reazioni emotive influiscono sulla resilienza.
La pandemia ci ha dimostrato chiaramente che benessere economico, psicologico e sociale non coincidono e che non basta avere un buon reddito per stare bene: a ogni miglioramento economico corrisponde un benessere psicologico effimero che ha bisogno di guadagni esponenziali per mantenersi.
Il coronavirus tiene lontani psicologi e pazienti, ma la terapia online copre le distanze
Le restrizioni sociali imposte dal governo per contenere i rischi di contagio dal virus Covid-19 hanno cambiato le nostre abitudini e questo ha avuto una ricaduta anche nell’ambito delle cure psicologiche. Anche se la psicoterapia non rientrava nel novero delle attività sottoposte a restrizione, si è creato da subito un allineamento nella convinzione sia dei pazienti che dei terapeuti che fosse auspicabile il venire meno della presenza anche in esse, dato il momento, e che si potesse trasferire online lo spazio di incontro.
Non tutti hanno accettato l’alternativa: alcuni pazienti e terapeuti hanno preferito fare una sospensione e rimandare le cure al “dopo emergenza Covid”, per vari motivi. Per quel che riguarda i pazienti, c’è chi non apprezza il rapporto con la tecnologia e si sente poco a suo agio a raccontarsi in uno spazio virtuale, e chi non riesce a ritrovare uno spazio di privacy adeguato a casa, se abita in un piccolo appartamento che condivide con un partner, con i genitori, con i fratelli o con i figli.
Tragedie come quella di Tamara, la bimba di 18 mesi morta per arresto cardiaco perché dimenticata in auto, sembrano diventate una triste ricorrenza della nostra quotidianità, si parla di emergenza internazionale per la frequenza con la quale questi casi si sono presentati negli ultimi vent’anni. Alcune analisi focalizzano l’attenzione soprattutto sul comportamento di dimenticanza rispetto al piccolo che non viene più visto come essere umano (ma viene gestito in modo pratico come un pacco che può anche essere dimenticato in macchina). Consideriamo però che spesso la persona che “dimentica” non considera più neanche sé stessa come essere umano e la sua giornata magari è un insieme di impegni che si susseguono senza soluzione di continuità. La persona non è più in grado di gestirli, ne è sopraffatta, le esigenze personali e quelle genitoriali vengono attivamente escluse.
La mancanza di riposo, la stanchezza, le variazioni nella routine quotidiana in generale influiscono sul comportamento anche del più affettuoso e attento dei genitori, i genitori di oggi si trovano poi più facilmente soli ad affrontare le responsabilità della crescita dei figli, sempre più alle prese con le frenesie e gli stress che caratterizzano la società moderna, sempre più soggetti a muoversi e funzionare in modo “automatico”, senza essere presenti e consapevoli nella relazione con se stessi e con i figli. Forse non è necessario essere affetti da una psicopatologia per incorrere in certi comportamenti, basta essere totalmente assorbiti dalle responsabilità lavorative, contemporaneamente essere preoccupati per il bilancio dell’economia e/o per l’organizzazione familiari, sapere di non poter contare su punti di riferimento validi in caso di necessità e alla fine, avere in auto un seggiolino nascosto e un bambino che dorme.
Si moltiplicano le raccomandazioni sul comportamento da tenere per prevenire i rischi, Il ministero della Salute raccomanda di lasciare gli oggetti personali come la borsa o il telefono sul sedile posteriore, accanto al seggiolino, per essere certi di controllare una volta scesi dalla macchina (sembra più sicuro non dimenticare una borsa e un cellulare che un bambino), raccomandazioni che sembrano quasi sostenere il comportamento automatico e stressare ancora di più il genitore che viene esortato ad aumentare il controllo su sé stesso, piuttosto che a fermarsi a riflettere, a prendere consapevolezza della qualità della vita che conduce.
Si moltiplicano anche le applicazioni e gli allarmi per segnalare il bambino in auto (il seggiolino con l’allarme, il portachiavi intelligente, le app che inviano messaggi d’emergenza), un controllo sempre più decentrato, basato su fattori esterni, allontana sempre di più da se stessi e crea le condizioni per ulteriori comportamenti a rischio. Per arginare il problema e se non ci sono alternative, utilizziamoli tutti questi i marchingegni che la tecnologia ci mette a disposizione (ma facciamolo con attenzione altrimenti rischiamo di spostare più avanti il problema: confidando sul controllo esterno, si potrebbe ritenere di tollerare livelli maggiori di stress, fino a che non succede qualche altra cosa di irreparabile), pensiamo però anche a come aiutare i genitori a svolgere bene la loro funzione: sosteniamo la famiglia e miglioriamo le condizioni di lavoro di tutti.