Le assenze e la reciprocità nelle relazioni scolastiche(I PARTE)

Le assenze e la reciprocità nelle relazioni scolastiche(I PARTE)

Perchè le assenze?

Un tema che accomuna molti insegnanti è l’insofferenza verso il modo in cui gli studenti affrontano i loro doveri scolastici, secondo loro lo fanno in maniera superficiale, immatura, insufficiente. L’insofferenza più marcata comincia da quello più concreto di essere o meno presenti a scuola, cioè dalle assenze.

Per gli insegnanti, gli studenti sono troppo spesso assenti, lamentano l’assenteismo come pratica molto diffusa e si rammaricano che questa consuetudine abbia inevitabilmente ripercussioni sul programma di lavoro al momento di introdurre argomenti nuovi o di verificare l’apprendimento.

Le giustificazioni degli studenti, dalle più banali a quelle più importanti, non riescono in genere a modificare una convinzione di fondo degli insegnanti e cioè che la vera ragione di tante assenze è l’immaturità, lo scarso impegno scolastico, la scarsa voglia di lavorare.

L’atteggiamento assenteista sarebbe rinforzato dall’appoggio dei genitori che troppo spesso, per lo meno secondo gli insegnanti, non aiutano i figli a prendersi le loro responsabilità, ma anzi li proteggono e li assecondando coprendo le loro assenze.

Le relazioni scolastiche, come tutte le relazioni, sono rapporti di reciprocità affettivo-emotiva, e tutto ciò che avviene all’interno di questa reciprocità, rappresenta la forma che assume in quel momento quella relazione, possiamo perciò considerare l’assenza scolastica come un indicatore dell’andamento della relazione tra insegnante, studente e genitore in un determinato momento.

L’argomento assenze viene più facilmente studiato allo scopo di controllare e contenere il fenomeno e meno per comprenderlo. L’informatizzazione dei controlli, il calcolo e la classificazione delle assenze, le lettere di richiamo alle famiglie, caratterizzano un approccio basato sull’idea che l’assenza sia illegittima e messa in pratica da pochi, mentre i dati statistici più recenti dicono che le assenze di oggi sono numerose, ricorrenti e messe in atto da sempre un maggior numero di studenti.

Quali sono le cause più comuni del comportamento assenteista?

Se facciamo riferimento alla letteratura e all’esperienza lavorativa personale, possiamo provare a fare un elenco:

a) per alcuni studenti, l’assenza sembra essere una forma di demarcazione dalla famiglia, un modo per avere un periodo di tempo tutto per sé fuori dal controllo familiare; per altri è una forma indiretta di richiesta di aiuto: uno studente si assenta più o meno consapevole del fatto che le sue assenze non saranno ignorate.

b) per alcuni studenti il carico di lavoro sia a casa che a scuola è avvertito come eccessivo e qualche giorno di assenza consente loro di recuperare energie e rimettersi in paro con i programmi. Anche il numero elevato di materie qualche volta tiene gli studenti fuori dalla scuola: le troppe materie comporterebbero un apprendimento superficiale e meccanico, di quantità di informazioni considerate eccessive.

c) l’assenza è un modo per non essere fagocitati dal sistema e perdere di vista quelli che sono gli interessi personali.

d) un altro motivo sembra essere la noia. Secondo gli studenti, certi insegnanti non sanno trasmettere la passione per la loro materia, o meglio non sanno entrare in relazione con i propri studenti e la lezione si risolve in una sequenza di informazioni meccaniche difficili da acquisire.

e) la mancanza di uno spazio dedicato alla comunicazione e alla conoscenza reciproca, alla considerazione dei propri interessi e delle proprie caratteristiche personali, rende a volte lo spazio scolastico un luogo troppo stretto dal quale ogni tanto ci si deve allontanare.

f) infine e non certo per ultimo, il problema della valutazione, la paura del voto, di essere interrogati, di essere valutati. Il non saper/poter ancora distinguere tra voto (sulla prestazione) e giudizio personale (derivato dal voto).

INSEGNANTI E GENITORI: una guerra in corso?

INSEGNANTI E GENITORI: una guerra in corso?

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Identità genitoriali e valutazioni scolastiche

I genitori di Antonio sono arrabbiati con gli insegnanti del figlio, terzo anno di liceo scientifico: secondo loro lo perseguitano, lo riprendono in continuazione per il suo comportamento in classe, mentre lui dice di non fare niente di male.

L’insegnante di italiano è piuttosto insofferente al comportamento di Antonio. Il ragazzo non riesce a stare al suo posto e parla in continuazione con i compagni.

L’atteggiamento con cui si pone la famiglia nel rapporto con la scuola ha un ruolo importante nell’ambito delle dinamiche scolastiche e del progetto educativo sull’adolescente.

Vale la pena di aprire una parentesi sul profilo della coppia moderna che si trova oggi molto più spesso a gestire da sola il carico e le responsabilità della genitorialità. Gli attuali genitori si trovano a vivere esperienze nuove rispetto al passato. I disagi personali vissuti durante la propria crescita, le maggiori conoscenze della materia, i veloci cambiamenti sociali li hanno persuasi di non poter riproporre ai loro figli i valori o i modelli genitoriali che hanno vissuto loro stessi nella famiglia di origine.

Soprattutto la complessità della vita quotidiana nella società a cui apparteniamo, rende necessaria una notevole flessibilità e intercambiabilità di ruoli all’interno della famiglia: i padri tendono oggi a lasciare spazio in alcune delle aree che erano di loro esclusiva competenza, dedicandosi a quelle funzioni affettive che in passato erano delegate quasi totalmente alla figura materna. Le madri rinunciando in parte all’esclusività del rapporto con i figli hanno maggiori possibilità di realizzazione personale all’esterno della famiglia. Questo non senza difficoltà da parte di entrambe le figure.

I nuovi ruoli che si definiscono all’interno della famiglia moderna non implicano semplicemente che i genitori fanno cose diverse da prima, ma anche che gli attuali ruoli non sono sostenuti da modelli di riferimento con cui identificarsi, come invece avveniva in passato. I genitori di oggi risolvono il loro compito provando e riprovando, andando per tentativi ed errori. I modelli dei propri genitori sono considerati ormai inadeguati. Questo non avere punti di riferimento può avere riflessi negativi sul piano dell’identità genitoriale, che ne risulta più incerta.

Un’identità genitoriale incerta è certamente più fragile e vulnerabile, ha più difficoltà a mettere il limite tra il sé personale e quello dei figli, è meno propensa a confrontarsi con il mondo esterno, che può anche essere vissuto con diffidenza.

Cosa comporta questo nel rapporto tra scuola e famiglia? Alcuni fatti di cronaca avvenuti alla fine dello scorso anno scolastico, sono stati molto sottolineati dai media tanto da far pensare a un conflitto tra categorie. Ma è davvero così? È vero che è in corso una guerra tra genitori e insegnanti?

Se davvero ci fosse sarebbe una guerra tra poveri.

Quello che accade è che l’incertezza sul piano dell’identità genitoriale e l’ombra di diffidenza di cui parlavo prima può entrare nella scuola e condizionare il rapporto con gli insegnanti. È una diffidenza legata alla difficoltà di distinguere tra sé e figlio e soprattutto alla paura di essere indirettamente valutati. Questa diffidenza può essere superata solo se e quando il genitore sente, che il suo operato di genitore non sarà giudicato.

Il giudizio di un insegnante può essere all’origine di penose oscillazioni sul piano dell’identità genitoriale, probabilmente per questo a volte gli insegnanti vengono screditati e di fronte ad un loro giudizio critico il genitore tende a schierarsi dalla parte del figlio proteggendolo, proteggendo in fondo anche se stesso.

Il colloquio con un insegnante è un momento importante e delicato in cui il genitore può sentire in ballo l’adeguatezza o inadeguatezza del suo fare il padre o la madre.

D’altra parte gli insegnanti oggi devono continuamente argomentare e giustificare il loro giudizio su un alunno, non è più dato per buono di diritto e hanno spesso l’impressione di doversi difendere dalle accuse d’imparzialità e anche loro a volte possono sembrare diffidenti.

Ho assistito più volte a colloqui difficili tra insegnanti e genitori, i genitori hanno l’impressione che il proprio figlio venga perseguitato o non capito, gli insegnanti hanno l’impressione di doversi difendere dalle accuse: ognuno si irrigidisce su una posizione difensiva.

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Genitori vs insegnanti: nella guerra tra poveri a perdere sono i ragazzi

Genitori vs insegnanti: nella guerra tra poveri a perdere sono i ragazzi

Tra genitori e insegnanti lo studente ci rimetteimage

Inizia un nuovo anno scolastico, facciamolo partire bene. La fine dello scorso anno scolastico è rimasta impressa per gli episodi di inattesa violenza da parte di alcuni genitori verso gli insegnanti dei propri figli. Episodi ravvicinati, forse anche un po’ enfatizzati dai media, che comunque hanno fatto pensare a uno scontro generale, a una guerra in corso tra le due categorie. Se davvero ci fosse sarebbe una guerra tra poveri.

Da una parte c’è l’attribuzione totale alle famiglie, da parte della scuola, della responsabilità delle problematiche scolastiche di uno studente, dall’altra l’attribuzione totale agli insegnanti e alla scuola, da parte delle famiglie. Nessuna delle due posizioni evidentemente può essere considerata realistica. La famiglia ha il suo impatto nella costruzione della personalità dello studente, su questo non c’è dubbio, è stata dimostrata da più parti l’importanza della relazione con le figure di riferimento, genitori o loro sostituti, ma dobbiamo anche considerare che la scuola è un luogo in cui si trascorre molto tempo e per forza di cose vi si costruiscono rapporti significativi e perciò in grado di incidere sull’equilibrio o comunque sullo stato d’animo di uno studente.

La scuola ha il suo peso, in positivo e in negativo: può essere fonte di disagio se non si riesce a costruire rapporti che sostengono, può diventare anche una base sicura se invece ci si riesce, un luogo protetto in cui “rifugiarsi” se le relazioni in famiglia sono, stabilmente o temporaneamente, insicure. L’escalation di violenza tra genitori e insegnanti è allora la punta di un iceberg, il sintomo di una realtà da esplorare. Spesso l’episodio violento è alla fine di un percorso in cui uno o entrambi gli interlocutori hanno dato poco valore alle parole dell’altro, la fine di un periodo di reciproca sordità.

E mentre i due interlocutori litigano il terzo, lo studente, ci rimette. Sia l’insegnante che il genitore sentono messo in discussione il proprio ruolo e il proprio operato e non riescono a cogliere nella rivendicazione dell’altro la richiesta di collaborazione sul progetto educativo e formativo per lo studente.

Ho sentito dire che la scuola “non può sostituirsi per un ruolo (educativo) che non le compete”, io credo che nessuno, figura professionale o istituzione, che abbia a che fare con un bambino, un fanciullo o un ragazzo possa mai dire che il ruolo educativo non gli competa. Siamo tutti coinvolti. Che ci sia bisogno di un’alleanza educativa tra scuola e famiglia non c’è dubbio e si è tutti concordi su questo, il dubbio nasce su come debba essere costruita questa alleanza. Per i genitori sono gli insegnanti a doversi avvicinare agli studenti e alla famiglia, per gli insegnanti è il contrario e vorrebbero la complicità dei genitori a prescindere.

Ho assistito più volte a colloqui difficili tra insegnanti e genitori, i genitori hanno l’impressione che il proprio figlio venga perseguitato o non capito, gli insegnanti hanno l’impressione di doversi sempre difendere dalle accuse, ognuno si irrigidisce su una posizione difensiva. Se il dialogo non si ferma alle prime impressioni e incomprensioni si può arrivare a capirsi: quando il genitore capisce la buona fede dell’insegnante e/o l’insegnante capisce la richiesta di aiuto del genitore, lo scontro diventa velocemente collaborazione.

Oggi gli insegnanti devono argomentare e giustificare il loro giudizio su un alunno, non è più dato per buono di diritto. Secondo alcuni è perché “i genitori non accettano di avere figli asini”. Non credo che sia così, anche se a volte i genitori sopravvalutano le capacità dei figli penso che oggi non sia più possibile dividere semplicemente gli studenti in asini e bravi, le cose sono più complesse e probabilmente gli asini non esistono. Esistono ragazzi in difficoltà e trovare nella scuola e in un insegnante un punto di riferimento può fare la differenza. Nessuno studente è asino o bravo a priori, ma in relazione a tanti fattori tra cui la sua storia all’interno di quella specifica atmosfera familiare e il rapporto che costruisce nel tempo con gli insegnanti che incontra sulla sua strada…….

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Uno Psicologo nella Scuola

Uno Psicologo nella Scuola

Uno Psicologo nella Scuola
Alpes Italia 2015Uno Psicologo nella Scuola
di Patrizia Mattioli
Editrice Alpes Italia
pp. 142 I° edizione Roma 2015
€ 13,00 ISBN 978886531-314-5
È uscito a gennaio il mio nuovo libro Uno Psicologo nella Scuola
E’ un libro che ho scritto per raccontare la scuola e l’esperienza di  venticinque anni di consulenza scolastica. Ė un libro che parla del lavoro dello psicologo, ma soprattutto è un libro che parla di scuola, dell’incontro di studenti adolescenti, insegnanti e genitori, delle dinamiche che si costruiscono, della difficoltà di trovare un linguaggio comune. È rivolto a tutti i protagonisti della scuola, ma soprattutto a genitori e insegnanti,. Attraverso le storie e le esperienze raccontate il libro vuole fornire strumenti utili ad avvicinarsi e comprendersi reciprocamente, oltre ad avvicinare e comprendere il complicato e delicato mondo scolastico adolescenziale.
La scuola è una rete di relazioni dove studenti, insegnanti e genitori si incontrano e incrociano i propri modi di essere. Da questo incontro nasce un significato comune che offre ad ognuno un’immagine di sé che non può più prescindere dagli altri, un’identità scolastica che definisce per ognuno il suo sentirsi o non sentirsi parte di quella comunità.
La Scuola è uno scorrere parallelo e simultaneo di momenti di vita che continuamente riverberano gli uni con gli altri creando contrasti che rappresentano allo stesso tempo momenti di crisi che possono diventare momenti di crescita .
Sono importanti le storie personali dei ragazzi, dei genitori, degli insegnanti perché è attraverso le storie che si riesce a comprendere la coerenza di una crisi ed è possibile trasformarla in crescita.

Il libro si compone di due parti. Nella prima parte vengono affrontati gli aspetti teorici sia per quanto riguarda le norme che regolano la presenza dello psicologo a scuola e il ruolo che ne emerge, sia per quanto riguarda l’approccio teorico di riferimento che guida chi scrive. Viene illustrato il modello cognitivista post razionalista e la sua applicazione alle dinamiche scolastiche, con una parentesi sui vissuti dei protagonisti della scuola e uno ampio spazio dedicato alla lettura post razionalista del percorso adolescenziale.
La seconda parte è dedicata alle diverse esperienze che la presenza a scuola consente allo psicologo: la consulenza, l’approccio alle emergenze relazionali, la formazione dei gruppi di tutor per l’Accoglienza, i sondaggi conoscitivi, gli incontri a tema e le giornate di approfondimento. Tutti gli spazi raccontano le strategie utilizzate e nello stesso tempo sono un pretesto per l’approfondimento di temi adolescenziali.

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Genitori adolescenti e scuola

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Negoziare il tempo da dedicare allo studio

Le prestazioni scolastiche dei figli hanno una ricaduta particolare sulla vita dei genitori.

Se l’atteggiamento dei genitori di fronte allo studio oscilla tra il controllo (del tempo da dedicare allo studio, della gestione di un’interrogazione, ecc..), e la delega alla scuola e al ragazzo, è difficile per loro comprendere se e quali difficoltà egli possa avere di fronte agli impegni scolastici, ritrovandosi a volte ad affrontare risultati che lasciano perplessi e increduli senza avere il senso di come ci si sia arrivati.

Qualcuno si ritrova con una o due materie da portare a settembre se non addirittura la prospettiva di ripetere l’anno.

Molte volte una bocciatura arriva inaspettata perché i ragazzi hanno taciutoo sui risultati scolastici, altre volte fa seguito ad una flessione più o meno marcata del rendimento dopo un periodo soddisfacente.

La difficoltà scolastica viene spesso letta in funzione dello scarso impegno e della mancanza volontà, senza considerare che comportamenti inadeguati, disimpegni, rifiuti, sono in genere indicatori di malesseri affettivi e relazionali più complessi

La bocciatura per rimanere in tema, è un fallimento per il ragazzo, per i suoi genitori, per la scuola, ognuno ha la sua parte di responsabilità.

“Gli insegnanti non capiscono….sono stati ingiusti…non a hanno valutato l’impegno…non ti sei impegnato…..dovevo controllarti di più….o di meno…..” probabilmente tutte cose vere che tendono a spostare all’esterno, il problema, a cercare un colpevole: gli insegnanti , la scuola, il figlio o se stessi per spiegare il motivo di un insuccesso, senza mai arrivare a comprenderlo veramente..

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Un figlio che va male o è bocciato, va a scuotere l’immagine di buoni genitori e mette in discussione il progetto educativo portato avanti fino a quel momento, se non anche qualche progetto personale investito sul ragazzo più o meno consapevolmente.

Insoddisfazioni lavorative e obiettivi mancati, possono fare investire il figlio di aspettative di riscatto.

Si vorrebbe che egli diventasse la persona di successo che non si è diventati e si da per scontato che lui condivida questo obiettivo, non considerando neanche l’eventualità che possa pensarla in modo diverso.

Resta da chiarire che, se il ragazzo/a si è giocato la promozione, qualche indizio deve averlo pur dato durantre l’anno scolastico, come mai nessuno se ne è accorto?

Le vicende della vita attuale portano a volte i genitori a caricarsi di impegni e responsabilità che vanno ben oltre le proprie possibilità, tanto da rischiare di perdere di vista il rapporto con i figli a favore delle preoccupazioni esterne, è facile allora distrarsi e prendere per buona una rassicurazione, è quello di cui hanno bisogno per andare a lavorare sereni: si accetta una comunicazione puramente verbale senza soffermarsi a valutare se questa è coerente con tutte le altre informazioni che il ragazzo invia su altri piani (attraverso l’umore, il tempo che dedica allo studio, le informazioni che da a mezza bocca, la presenza o meno di racconti di vicende scolastiche, la chiusura/apertura che manifesta nei confronti dei compagni e degli insegnanti ecc…)

E’ giusto dare fiducia e autonomia, un adolescente deve imparare a regolarsi da solo, prendere consapevolezza delle proprie responsabilità, ma l’ autonomia và vigilata da lontano per poter cogliere in tempo eventuali difficoltà.

C’è anche da dire che, se pure i genitori sono attenti, è difficile per loro entrare nel mondo di un figlio adolescente.E’ difficile per loro cogliere gli aspetti più personali delle difficoltà senza doversele attribuire , è difficile cogliere l’adolescenziale paura di deludere, di essere rimproverato, di stimolare bronci e critiche, rifiuti, esclusioni e divieti, prima di sentirsi genitori sbagliati. E’ forse qui il cuore del problema: le difficoltà, le incertezze, i limiti, dei figli fanno soffrirre. E un ragazzo lo sa, per questo gli sembra più facile non parlare delle difficoltà che incontra a scuola, sperando che le cose cambino, che i genitori non si accorgano che non è bravo, che è diverso da come lo vedono o lo vorrebbero, che magari si ribalti lo scenario, senza fare previsioni per il futuro e ritrovandosi poi esattamente al punto che voleva evitare, ma offrendo all’esterno la possibilità di chiamare in causa lo scarso impegno e la mancanza di volontà.