Genitori e figli: uno smartphone come costruzione e mantenimento dell’identità

Genitori e figli: uno smartphone come costruzione e mantenimento dell’identità

img_0934Attraverso il contatto virtuale con il gruppo, i ragazzi mantengono una continuità nel loro senso di identità personale.

Marta è svegliata dal miagolio del telefono scarico. Panico. Si è dimenticata di metterlo in carica. Guarda l’ora, è ancora presto, forse ce la fa a ricaricarsi a sufficienza per durare tutta la mattina. Meno male. Non poteva neanche immaginare di andare a scuola senza cellulare, di rimanere scollegata.

Facciamo fatica a comprendere l’importanza che ha lo smartphone per i ragazzi. È un tema attuale di conflitto tra genitori e figli – indagini recenti stimano che più del 50% dei ragazzi europei tra i 9 e i 16 anni possiede uno smartphone e lo usa per collegarsi a internet, per l‘Italia probabilmente è un dato sottostimato – li rimproveriamo perché sono sempre al telefono, anche se quello non è un telefono ma un complesso oggetto con cui spesso neanche telefonano, che usano piuttosto per mantenersi costantemente in contatto tra loro, chattare, ascoltare e scaricare musica, vedere filmati, pubblicare immagini che possano stimolare il “Mi piace” che funziona come conferma.

L’apparecchio è ormai un’appendice di sé. Attraverso il costante contatto seppur virtuale con il gruppo, i ragazzi mantengono una continuità nel loro senso di identità personale.

Il sostegno del gruppo è da sempre riconosciuto come essenziale per la costruzione di un’identità autonoma dalla famiglia e si realizza ora anche attraverso le relazioni virtuali.

La costruzione dell’identità avviene a partire dalle prime relazioni significative e attraverso i processi di identificazione, cioè i processi attraverso i quali si acquisiscono i ruoli sociali assumendo i comportamenti e gli atteggiamenti delle persone che si ammirano. I processi di identificazione si verificano in modo diverso nelle diverse fasi di sviluppo. Durante l’adolescenza, per arrivare ad un senso di sé autonomo si passa gradualmente da uno stato in cui l’aiuto, la guida, il sostegno, l’approvazione e la rassicurazione provengono dai genitori, a uno stato intermedio in cui il sostegno e l’approvazione provengono dalle amicizie e dai rapporti sentimentali. E’ qui che si inserisce lo strumento tecnologico.

C’è chi si preoccupa che un utilizzo massiccio dello smartphone possa portare ad una generazione di identità fragili e/o frammentarie. Che sia implicata una dipendenza non c’è dubbio, anche se non è tanto dallo smartphone quanto dal gruppo. Insomma il percorso – di costruzione dell’identità – è sempre lo stesso, perseguito ora anche grazie ad uno smartphone, che magari perde il suo fascino una volta realizzato il suo compito. Staremo a vedere.

Per ora è una messa alla prova per i genitori che magari sentono in discussione il proprio ruolo educativo e il potere nella relazione. Concordiamo con i ragazzi un tempo consentito ben sapendo che sarà difficile per loro rispettarlo. Si può togliere lo smartphone per punizione o per il superamento del nostro grado di tolleranza. Teniamo presente che non stiamo togliendo un telefono ma un collegamento con gli altri e dunque con sé stesso. Potremmo stimolare reazioni inaspettate.

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Scambio di embrioni: la genitorialità allargata è uno scenario realistico?

La genitorialità allargata è uno scenario realistico? Se l’uomo forza la natura, deve essere poi disposto a prevedere e accettare soluzioni che vanno al i là di quelle considerate “naturali” come lo scambio di embrioni. Si può essere d’accordo o meno con certe scelte, quelle della fecondazione assistita, ma dobbiamo riconoscere che il mondo va sempre di più in quella direzione e i dati statistici dicono che negli ultimi anni il ricorso a tale pratica è aumentato in maniera sensibile e che lo vogliamo o no ci troveremo ancora ad affrontare situazioni non convenzionali.

Per le due coppie ormai note, quello che è capitato. lo scambio di embrioni, è un dramma per loro, per i loro figli, per chi ha sbagliato, per chi deve trovare soluzione all’errore, ma ormai le cose stanno così e dopo il disorientamento e la disperazione bisogna trovare una strada. Qualsiasi soluzione sembrerà parziale e ingiusta. La genitorialità allargata ipotizzata nel precedente post, potrebbe essere una. Certo un’eventualità tutta da inventare, uno scenario tutto da costruire, forse con una coppia principale o forse no.

Il fatto che l’errore, lo scambio di embrioni, abbia generato due esseri umani, può indicare una compatibilità? Il bambino che cresce con quattro genitori potrebbe sviluppare gravi disturbi psicologici? Certo ci sarebbero regole da concordare. Conosciamo l’effetto della mancanza di figure di riferimento, meno l’effetto dello scenario contrario. Possiamo fare riferimento alla vecchia famiglia allargata, i bambini crescevano disorientati? Siamo più o meno tutti d’accordo sul fatto che al contrario potevano contare su più figure di riferimento. L’attuale famiglia nucleare è il risultato della società moderna, più coerente con il tipo di vita che conduciamo, non necessariamente più giusta, sicuramente più fragile: quando i genitori si trovano in difficoltà, hanno meno punti di riferimento. Separare un bambino dalle figure che ha incontrato alla nascita e con le quali da diverse settimane ha iniziato a costruire un attaccamento, quello sì che sarebbe traumatico, significherebbe anche azzerare tutti gli studi degli ultimi novant’anni.

Fino agli anni ’30 del XX secolo, si riteneva che i bambini di pochi mesi non avessero capacità di relazione o di apprendimento e che il motivo per cui sviluppavano uno stretto legame con la madre fosse perché lei lo nutriva. Si riteneva che la fame fosse un bisogno primario e la relazione personale un bisogno secondario. Successivi studi, tra cui quelli di J. Bowlby, hanno dimostrato il contrario. Questi studi hanno rivelato che, come gli animali, gli esseri umani hanno un periodo “critico”, che si estende a gran parte del primo anno in cui, in condizioni ambientali favorevoli, costruiscono i legami di attaccamento. Per crescere psicologicamente equilibrato, il bambino deve poter sperimentare una relazione affettuosa e costante con la madre (o chi ne fa le veci).

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Scambio di embrioni: se la soluzione fosse la genitorialità allargata?

Scambio di embrioni: se la soluzione fosse la genitorialità allargata?

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Il caso dei gemelli nati dallo scambio di embrioni sembra un problema senza soluzioni.

Mi sento istintivamente di condividere la decisione della giudice che ha affidato i bambini alla coppia che li ha partoriti, anche se è una questione che va profondamente dibattuta. Quale aspetto è giusto che abbia la precedenza: il patrimonio genetico con le informazioni che veicola, o la gestazione e i primi momenti di vita con il legame affettivo che fisiologicamente si crea nel neonato? Dal punto di vista psicologico è un problema che non si pone: un bambino è figlio di, e riconosce, chi se ne prende cura a prescindere dal rapporto biologico che ha con lui.

Probabilmente se potesse scegliere, un neonato preferirebbe genitori accudenti, stabili, affidabili, disponibili, tanto meglio se hanno il suo stesso patrimonio genetico. Se poi sono due o quattro, se hanno un orientamento sessuale o un altro, se lo hanno adottato o partorito per lui può fare poca differenza purché abbia a disposizione modelli di riferimento positivi.

D’altra parte non si può azzerare l’origine dei suoi geni, a cui sicuramente un giorno vorrà accedere, e non considerare i genitori biologici, sopratutto se questi lo vogliono (essere considerati).

Dal punto di vista psicologico sarebbe forse più utile che i genitori coinvolti in questo dramma si avventurassero verso nuove forme di adattamento, che riuscissero cioè (utopisticamente ?) a creare condizioni genitoriali e familiari inedite. Che questo “incidente” portasse a inventare nuovi modelli familiari o a rispolverarne di vecchi, magari una nuova famiglia allargata. Certo non sarebbe facile la “convivenza” è già difficile concordare l’educazione dei figli in due – anzi è uno dei temi in cui più facilmente avvengono i conflitti di coppia -figuriamoci in quattro.

In ogni caso sarebbe meglio che ognuna delle due coppie non perdesse di vista se stessa e i suoi figli, nelle battaglie legali che intraprenderà; che nel combattere non si preoccupasse soltanto di ottenere un possesso; che si trovasse velocemente una soluzione per vivere (e condividere), tutti, questi primi mesi di vita, così importanti per i bambini e per chi se ne prende cura; che si creassero le condizioni per la costruzione di sani attaccamenti: l’attaccamento è un comportamento innato per il bambino, ma dipende dalle condizioni ambientali per il modo e il tempo in cui si realizza.

Crescendo questi figli potrebbero contare su più figure di riferimento, avere due famiglie, magari anche due case….

Anche se i i primi tentativi di collaborazione tra le due coppie non sono andati bene, sarebbe forse bene provare e riprovare tutte le strade per arrivare a una genitorialità allargata, considerarla come un obiettivo da raggiungere.

Il rifiuto iniziale è comprensibile, l’impatto emotivo è stato durissimo ma dovrà essere superato, perché ormai i loro destini sono legati.

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Motta Visconti: può succedere a chiunque di compiere efferati delitti?

Motta Visconti: può succedere a chiunque di compiere efferati delitti?

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Persone che sembrano assolutamente comuni, si macchiano di efferati delitti che stimolano sentimenti di orrore e minano le nostre sicurezze. Chiunque allora potrebbe farlo, anche noi o la persona che ci sta a fianco?

Perché, riflettendoci, per chi la famiglia non rappresenta un peso ogni tanto?

Il punto è che noi leggiamo notizie, che ci giungono inaspettate, su persone di cui non sappiamo nulla, i cui drammi sembrano spuntare dal nulla, apparentemente imprevisti e imprevedibili.

Di solito non è così, le tragedie spesso sono il risultato di un lungo percorso iniziato molto tempo prima e di cui la notizia che leggiamo è solo il momento finale. Spesso il/la futuro/a omicida ha dato segni di aggressività o insofferenza occasionalmente o, al contrario non ha mai dato segno di sofferenza anche quando ci si sarebbe aspettati e ha incamerato frustrazioni che si sono accumulate e sono poi scoppiate come una bomba.

Non so se è questo il caso di Motta Visconti, le notizie che leggiamo sulla storia sono insufficienti. Possiamo fare ipotesi. Possiamo pensare che quella del peso fosse una condizione che durava da tempo. Da tempo magari la reciprocità di coppia si era sfilacciata, il tutto poteva magari risalire alla nascita dei figli o anche prima. Nel matrimonio o nella convivenza possono venire fuori aspetti del partner inaspettati oppure si riesce ad affermare le proprie esigenze e il proprio punto di vista molto meno di quello che si pensava. Le strade personali possono cominciare ad allontanarsi se il tutto non viene condiviso all’interno della coppia.

Molto spesso poi, anzi direi sempre, la nascita dei figli crea uno scombussolamento nell’equilibrio della coppia, anche in quella più stabile, la neo mamma ha bisogno di maggiore sostegno e protezione, perciò è più richiestiva nei confronti del neo papà che perde un po’ di centralità e magari si sente trascurato (o viceversa). Entrambi si trovano ad affrontare grossi carichi di responsabilità e di lavoro. Il tempo per la coppia si ridimensiona, a volte si azzera. Le cose si amplificano se la coppia non può contare su aiuti esterni.

La maggior parte delle coppie può trovarsi a vivere questi momenti, non per questo si diventa omicidi, devono intervenire evidentemente anche altri elementi. Magari può essere presente una particolare impossibilità ad esprimere e affermare i propri bisogni, se si ha paura delle conseguenze o delle reazioni dell’altro. Magari il disagio viene vissuto individualmente, la persona accumula frustrazioni poi cerca soluzioni fuori dalla coppia e comincia a trovare insopportabile vivere nella propria famiglia alla quale comunque si sente legato e dalla quale non può e non riesce ad allontanarsi.

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Maturità, notti insonni prima degli esami. Soluzioni?

Maturità, notti insonni prima degli esami. Soluzioni?

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La scuola è finita, ma non per Giorgia che fa il quinto e quest’anno ha gli esami di maturità. La cosa la preoccupa non poco. E’ dall’inizio del liceo che pensa a questo momento e dall’inizio dell’anno scolastico il pensiero è diventato ossessivo, con tutti gli accessori di ansia, rigidità, insonnia, che se all’inizio dell’anno erano sporadici ora sono quotidiani. Si sveglia già stanca e le sue capacità di apprendere sono prossime allo zero, ricorda poco di quello che legge e deve tornare continuamente sullo stesso argomento.

L’esame di maturità è un passaggio importante che rimane impresso nella memoria per le forti emozioni che lo accompagnano e Giorgia lo conferma. Di solito prevale la paura: una grande preoccupazione per alcuni, una forte ansia per altri, panico per altri ancora.

Gli esami di maturità sono un vero banco di prova per la tenuta emotiva personale.

Una certa dose di ansia è fisiologica e necessaria per stimolare lo studio. Superata una certa soglia però non ha più la funzione di stimolo e si trasforma in ostacolo.

Quando succede, spesso è perché la prova reale e magari anche il suo significato simbolico di passaggio all’età adulta, sono percepiti come fuori dalla propria portata, irraggiungibili, con pochi strumenti per affrontarli. Oltre naturalmente al pensiero per ciò che si pensa di lasciare, e per gli scenari che si hanno per il futuro. L’esame si inserisce nello spazio tra una vita scolastica scandita da precisi ritmi quotidiani, fatti di compiti e interrogazioni, e qualcosa di meno ritmato e definito, un salto nel buio per chi non ha ancora le idee chiare.

Giorgia in verità uno scenario futuro ce l’ha, farà l’università perché vuole diventare insegnante. Il suo problema è forse quello di non essersi mai messa troppo alla prova: suo padre è molto protettivo e sua madre è molto ansiosa (all’epoca ha interrotto gli studi per evitare gli esami), non sa come aiutare la figlia, entra troppo in empatia con lei. Per Giorgia perciò già affrontare l’esame sarà un grande risultato. I suoi genitori possono sostenerla semplicemente standole vicino, magari cercando di tenere a bada le proprie preoccupazioni, il resto lo deve fare da sola.

In generale si può fare qualcosa per sostenere i ragazzi di fronte a queste prove, ma il più lo devono fare da soli.

Possiamo parlare con loro se ne hanno voglia e aiutarli a ridimensionare la portata, a tenere conto del percorso fatto finora e che la maturità se la sono già quasi conquistata. Magari non sottolineare l’irrazionalità della paura, la sanno riconoscere da soli, solo che se non sono in grado di contenerla, possiamo aiutarli a pensare al dopo, o a immaginare un dopo se ancora non lo hanno fatto, questo darà all’esame una dimensione più temporanea, più relativa.

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