da patrizia mattioli | Dic 21, 2018 | Blog su Il Fatto Quotidiano
Il Tribunale per i minorenni di Torino ha dichiarato estinto il reato di cyberbullismo dei cinque ragazzi coinvolti nel suicidio di Carolina Picchio, 14 anni, avvenuto il 5 gennaio del 2013.
I ragazzi erano stati inseriti in un percorso di recupero che li ha portati a svolgere attività di aiuto e a intraprendere percorsi di consapevolezza e responsabilità che secondo le relazioni degli esperti hanno dato risultati positivi: tutti i ragazzi hanno capito di avere sbagliato. Staremo a vedere se in futuro darà loro ragione. Per adesso queste conclusioni confermano che è possibile il recupero e che è più funzionale della punizione.
E’ giusto dare alle persone che sbagliano un’altra possibilità soprattutto se sono giovani, immaturi e in grado di recuperare. Anche se quando si è direttamente colpiti, non è così facile offrirla.
Il padre di Carolina forse ci è riuscito nonostante tutto: “Carolina non me la restituirà nessuno, ma spero che i ragazzi che l’hanno perseguitata abbiano capito di aver commesso dei reati gravi e non solo delle ragazzate…”. In questi anni, deve aver avuto molto tempo per pensare, per accettare, per analizzare, per superare la disperazione, il senso di impotenza, di colpa (rispetto ai figli ci si sente sempre in colpa), di responsabilità, per non aver saputo capire, per non aver saputo prevenire.
In generale la morte di un ragazzo o di una ragazza colpisce tutti: è la perdita di tanti progetti futuri, l’inutilità di tanti sforzi passati. Quando poi un ragazzo si toglie la vita ci sentiamo, siamo, tutti responsabili: i bulli che perseguitano, i compagni che non difendono, gli adulti che non vedono, le vittime stesse che spesso non chiedono.
Perdere un figlio è inaccettabile, è una sofferenza che nessun genitore dovrebbe affrontare, ma quando accade, quello che si può fare per accettare di continuare a vivere, è trovare nella tragedia una speranza, qualcosa di positivo, è cercare di trasformarla, per quanto possibile, in qualcosa di costruttivo, è fare in modo che una perdita, ingiusta, anacronistica, non resti inutile, è trasformare il senso di impotenza in attività di aiuto, affinché certe cose non succedano ad altri, è trasformare la disperazione in qualsiasi cosa che faccia sentire ancora vicino alla figlia perduta, affinché questo dia un nuovo significato e un nuovo obiettivo alla vita cambiata.
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da patrizia mattioli | Nov 27, 2017 | Blog su Il Fatto Quotidiano
La scuola è una palestra di vita, un luogo in cui si trascorrono molte ore della giornata e dove si costruiscono rapporti significativi, positivi e negativi. E’ un luogo che attraverso le sue relazioni, può rappresentare un sostituto, o un prolungamento, degli attaccamenti familiari, e anche compensare disagi conseguenti ad attaccamenti familiari insicuri o a contesti sociali sfavorevoli.
Ne parliamo nel libro Attaccamenti a Scuola, edito da Alpes Italia, in uscita in questi giorni.
Il primo impatto con il nido è un misto di sentimenti contrastanti per i genitori che affidano i bambini; sono le reazioni dei bambini, che al nido sperimentano la prima separazione dalle figure di riferimento e dal contesto familiare; sono le emozioni delle educatrici che iniziano a immaginare i bambini settimane prima del loro arrivo, creando così quello spazio mentale necessario per accoglierli nel modo migliore.
Lavorare per una relazione educativa che riconosca il bambino nella sua individualità, che lo sostenga nel gioco, nelle attività di esplorazione, che lo aiuti a fronteggiare lo stress che è insito nella relazione con i pari, è la prima sfida scolastica.
La scuola materna offre al bambino l’opportunità di mettersi in gioco in un ambiente diverso da quello familiare. Se non è andato al nido, il bambino passa da una situazione di accudimento quasi esclusivo, come quella sempre più frequente del figlio unico, a una in cui deve confrontarsi con bambini che hanno i suoi stessi bisogni e le sue stesse esigenze. Nei rapporti con gli altri egli impara a riconoscere e comprendere le proprie emozioni e quelle degli altri, a collegarle a cause esterne, impara ad autoregolarsi.
Un approccio positivo alla sessualità sin dalla prima classe, è uno degli obiettivi della scuola elementare. Il tema della sessualità coinvolge la relazione con l’altro, il confronto tra due personalità. Trattare l’argomento significa parlare anche d’amore, di rispetto, di reciproca attenzione, significa parlare della differenza tra tenerezza e altro, significa proteggere i bambini dai messaggi distorti e fuorvianti che emergono dai canali di comunicazione.
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da patrizia mattioli | Ott 3, 2016 | Blog su Il Fatto Quotidiano, Uncategorized
Cyberbullismo:, noi adulti non facciamoci sostituire dagli automi
Tiziana, Carolina, Amanda, Phoebe,..sono solo alcune delle ragazze che si sono tolte la vita a seguito della gogna mediatica innescata dalla diffusione di loro immagini intime sul web. Alcune hanno involontariamente innescato il meccanismo, altre ci si sono trovate, tutte sono fuggite dalle mire del cyberbullismo, dalla vergogna per l‘esposizione incontrollata della propria intimità.
Le loro storie riportano in primo piano il problema della privacy nella rete. Come gestirla? Come proteggersi dalla diffusione virale dell’intimità? Come proteggere i nostri figli/figlie da esposizioni incontrollate?
Sicuramente serve innanzitutto sapere di cosa stiamo parlando, conoscere per primi la rete e le sue insidie, per poter guidare i ragazzi nel mondo virtuale così come facciamo nel mondo reale.
Il Garante per la privacy ha pubblicato la guida, “Social privacy. Come tutelarsi nell’era dei social network” per la protezione dei dati personali e favorire la tutela dal cyberbullismo, per fornire agli adolescenti, ai genitori e agli adulti in generale, strumenti utili a non cadere nella trappole della rete, per utilizzarla in maniera più sicura e consapevole.
Ma perché gli adolescenti hanno bisogno di condividere le proprie immagini e/o quelle degli altri? Con l’obiettivo di aiutarli a regolare l’esposizione proviamo a capirne il significato.
Il fatto che si tratti per la maggior parte di adolescenti non è casuale, è un momento evolutivo in cui il tema dell’esposizione è molto presente: desiderata e temuta nello stesso tempo. Desiderata perché porsi al centro dell’attenzione degli altri significa essere e sentirsi visti, riconosciuti, considerati e confermati, temuta perché c’è sempre il rischio di una centralità negativa, di essere giudicati male, tenendo presente comunque che anche un giudizio negativo è pur sempre un riconoscimento e preferibile all’invisibilità.
Uno degli aspetti che creano il successo dei social che comunicano per immagini, è sicuramente legato al rapporto che gli adolescenti hanno con il proprio corpo, un corpo che cambia.
La perdita del corpo infantile a seguito dello sviluppo puberale ha ripercussioni importanti sul piano dell’identità personale dell’adolescente soprattutto se il corpo ne rappresenta uno degli elementi principali, se cioè si hanno pochi altri elementi per mantenere un senso di continuità nel passaggio dall’infanzia all’età adulta.
Il corpo che cambia rapidamente concentra l’attenzione dell’adolescente che passa molto tempo davanti allo specchio e si confronta continuamente con gli altri: nessuno è mai soddisfatto del proprio corpo. Ne deriva un senso di estraneità e di inadeguatezza, una grande sensibilità al giudizio degli altri, soprattutto a quello dei coetanei, e il bisogno di avere continue conferme esterne dell’accettabilità del nuovo corpo anche dopo il cambiamento.
L’insicurezza che per alcuni diventa ricerca di conferma nell’esposizione, può risultare insopportabile per altri che magari non riescono ad accedere a quelle conferme e ripiegano nascondendosi dietro il gruppo, prendendo di mira qualcuno, facendosi forza sulla debolezza degli altri, scagliandosi contro qualcuno per darsi un senso di consistenza. Che le cose avvengano nel web o nella vita reale non fa differenza: le vittime arrivano a sentirsi sole e isolate, senza porti sicuri in cui rifugiarsi, i carnefici si beano della forza effimera che si può ricavare da queste forme di aggressività.
Non è detto che ci sia una divisione netta tra persecutori e perseguitati.
E dove sono gli adulti? Spesso gli adulti di riferimento sono latitanti, magari impegnati in altre emergenze, o anche loro inconsistenti.
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