Autolesionismo fra gli adolescenti, minacciare di farsi male è un gesto forte per orientare l’attenzione

Autolesionismo fra gli adolescenti, minacciare di farsi male è un gesto forte per orientare l’attenzione

Autolesionismo per attirare l’attenzione? Il mese scorso a Cefalù, un ragazzino di 12 anni si è versato addosso della benzina e ha tentato di darsi fuoco in classe. Gli insegnanti e i compagni lo hanno bloccato in tempo e nessuno si è fatto male. Un gesto forte, d’impatto che deve aver avuto i suoi motivi. I messaggi forti, estremi, in genere sono messi in atto da persone disperate e in contesti sordi o poco attenti. Il corpo diventa uno strumento di ricatto verso un esterno distratto, per imporre l’attenzione sulla propria sofferenza.

Per quel che si sa, il ragazzino era stanco di subire atti di bullismo da parte di studenti di altre classi, atti di cui evidentemente nessuno si era reso conto e che lui non era riuscito a segnalare prima. La vicenda mi ha dato lo spunto per un breve approfondimento con il riferimento ad altre situazioni, magari meno forti, dove però il gesto ha sempre l’obiettivo di orientare l’attenzione dell’ambiente, degli adulti.

Certi comportamenti nei bambini, vengono definiti coercitivi (per esempio alcuni capricci, alcune forme di vivacità e iperattività), perché “costringono” gli interlocutori a prendere in considerazione qualcosa di personale. La coercitività nei bambini, con l’espressione esasperata dell’emotività, può essere un atteggiamento selezionato durante lo sviluppo per orientare e tenere focalizzata su se stessi l’attenzione di figure di attaccamento o di riferimento instabili, su cui non si ha la sicurezza di poter contare e che è perciò importante tenere sempre orientati su di sé.

Sin dalla nascita, attraverso la relazione con le figure di riferimento (madre, padre, nonni,..), ogni individuo sviluppa un modo personale di mettersi in rapporto con gli altri significativi. A questo modo corrispondono interiormente quelli che vengono chiamati “modelli operativi interni” di sé rispetto agli altri, (Bowlby, 1969, 1973, 1980) una specie di mappa di noi stessi, degli altri, e della relazione che ci lega, che sono la generalizzazione delle relazioni con le prime figure di attaccamento. Sono modelli che si utilizzano per fare previsioni, controllare e manipolare l’ambiente.

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Storia della Psicologia – J. Bowlby e la Teoria dell’Attaccamento – (30)

Storia della Psicologia – J. Bowlby e la Teoria dell’Attaccamento – (30)

Lo sviluppo di un caratteristico stile di relazione

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Il susseguirsi di richieste di attaccamento da parte del piccolo e offerte di accudimento da parte della madre, dice J. Bowlby, permette la costruzione di una particolare relazione in cui si esprime un particolare modo di manifestare il comportamento di attaccamento: con richieste dirette di aiuto, l’espressione aperta del disagio e la protesta se non si ottiene l’accudimento.
Attraverso la relazione con la propria figura d’attaccamento ogni individuo sviluppa un suo caratteristico stile di relazione (cioè un personale modo di mettersi in rapporto con gli altri significativi), a cui corrispondono interiormente i “modelli operativi interni” di sé rispetto agli altri, che utilizza per mettersi in relazione con loro (J. Bowlby – come i cognitivisti – ritiene che gli essere umani abbiano nella mente una mappa del mondo che utilizzano per fare previsioni, controllare e manipolare il proprio ambiente. Più precisamente egli ritiene che noi abbiamo una mappa di noi stessi, degli altri, e della relazione, i modelli operativi interni appunto, che sono la generalizzazione delle relazioni con le prime figure di attaccamento).
La sensazione di poter esprimere direttamente una richiesta di aiuto da parte del bambino, sarà in relazione all’aspettativa basata sull’esperienza, che questa richiesta venga accolta o meno dalla madre. La qualità delle risposte più ricorrenti alle richieste di vicinanza e conforto, viene considerata la variabile ambientale più importante nella costruzione dei modelli operativi interni di sé nel mondo.
La nevrosi allora è il risultato dello sviluppo di modelli operativi interni inadeguati, difettosi. J. Bowlby distingue tra attaccamento sicuro e attaccamento ansioso.
Nell’attaccamento ansioso al bambino si pone il problema di mantenere l’attaccamento con una madre (o un padre,..) imprevedibile e rifiutante. I modelli operativi interni in questo caso, non saranno basati su un’adeguata rappresentazione di sé e degli altri, ma sull’essere all’altezza di, nel tentativo di adattarsi alle caratteristiche della madre (o del padre,..) e massimizzare le possibilità della sua risposta di accudimento e di protezione. In queste condizioni, le strategie che il bambino può adottare per mantenere l’attaccamento sono due: quella dell’evitamento e quella dell’adesione, che conducono rispettivamente allo sviluppo di un attaccamento evitante o ambivalente.
Nell’attaccamento evitante, il bambino cerca di sminuire l’importanza dei propri bisogni di protezione e cura allo scopo di prevenire il rifiuto da parte della madre (già più volte sperimentato in passato), rimanendo con lei in un contatto distante.
Nell’attaccamento ambivalente invece, il bambino si aggrappa alla madre in un bisogno esagerato di contatto. Qui il sistema comportamentale dell’attaccamento è attivato in maniera abnorme per aumentare le probabilità di orientare su di sé le attenzioni di una figura di attaccamento che, in base alle esperienze passate, il bambino considera imprevedibile e discontinua.
L’utilizzo di queste strategie comporta ovviamente delle restrizioni sul piano comportamentale (esplorazione bloccata o compulsiva per l’insicurezza sulla disponibilità della figura di attaccamento), che sul piano emotivo (esclusione dalla coscienza dei bisogni e dei sentimenti che non vengono riconosciuti dalla figura di attaccamento), ma sono assolutamente funzionali al mantenimento dello stato minimo di relazione possibile con quella figura di attaccamento.

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John Bowlby – La Teoria dell’Attaccamento – (26)

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John Bowlby: la teoria dell’attaccamento

Ma come arriva ogni individuo a costruirsi un certo modo di conoscere la realtà piuttosto che un’altro? Quali aspetti della vita personale sono rilevanti in questo senso?
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Era chiaro che la radice dei problemi emotivi della vita adulta si dovesse far risalire ad eventi dell’infanzia, non era chiaro quali dovevano essere gli aspetti da considerare più importanti in questo senso.
Negli anni ’30, un filone della corrente psicoanalitica aveva cominciato a prendere in considerazione le relazioni oggettuali, cioè il rapporto con la madre, come area di studio per spiegare lo sviluppo delle nevrosi e della sofferenza psichica.
Fino ad allora si riteneva che i bambini di pochi mesi non avessero capacità di relazione o di apprendimento e che il motivo per cui sviluppavano uno stretto legame con la madre era che lei lo nutriva. Si riteneva che la fame fosse un bisogno primario e la relazione personale un bisogno secondario.
Gli studi successivi hanno dimostrato il contrario, il primo di questi è stato il lavoro di J. Bowlby.

John Bowlby (1907-1990), psichiatra, psicanalista, entra a far parte della Società psicoanalitica negli anni Trenta. In quel periodo la Società era divisa in due opposte fazioni guidate da una parte da Melanie Klein e dall’altra da Anna Freud, che si scontravano su alcuni aspetti teorici della psicoanalisi. Abbiamo visto che Freud considerava fondamentale il complesso edipico per lo sviluppo della nevrosi e si era occupato poco della relazione madre-bambino. La Klein introduceva invece l’importanza del rapporto con la madre soprattutto nei suoi aspetti fantasmatici, Anna Freud al contrario, rimaneva fedele al punto di vista paterno.
In questa atmosfera caratterizzata dalla lotta per la supremazia, Bowlby cercò di trovare un suo spazio portando avanti due discorsi: il primo, quello di dare scientificità alla psicoanalisi e di rivedere la teoria freudiana alla luce delle più recenti scoperte scientifiche, dei meccanismi di feedback e dei processi di informazione, il secondo di riconoscere all’ambiente un ruolo importante nell’eziologia delle nevrosi.
La base scientifica per la teoria, gli fu offerta dall’etologia. Bowlby rimase colpito dagli studi sull’imprinting di Konrad Lorenz (1949).

Il termine imprinting sta ad indicare quel fenomeno per cui i neonati uccelli appena usciti dal guscio tendono a seguire il primo oggetto che vedono in movimento e si comportano nei suoi confronti come se fosse la madre.
imageLorenz studiò inizialmente questo fenomeno in alcune specie di uccelli da cortile. Il suo lavoro dimostrava che la fissazione sull’oggetto (genitori o loro sostituti), poteva avvenire in un periodo di tempo breve, definito periodo critico, immediatamente successivo alla schiusa. Il forte legame che si creava nei confronti di una specifica figura materna poteva avvenire senza l’intermediazione del cibo perché molti piccoli uccelli si nutrivano da soli sin dalla nascita, catturando gli insetti.
Lorenz aveva osservato inoltre che esperienze di mancato imprinting avevano conseguenze sulla vita adulta. Individui che erano stati isolati durante il periodo critico, una volta adulti non riuscivano ad inserirsi nel gruppo naturale animale se non in posizioni gerarchicamente basse, caratterizzate da un disimpegno quasi totale nelle decisioni da prendere per la sopravvivenza del gruppo. Anche il comportamento sessuale risultava disturbato, animali allevati completamente dall’uomo nel periodo dell’accoppiamento rifiutavano i loro simili e cercavano di accoppiarsi con i loro allevatori umani.

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Come avviene la scelta del partner?

Come avviene la scelta del partner?

img_1056Cosa pesa nella scelta del partner?

Scegliere un partner piuttosto che un altro sembra legato a motivazioni misteriose. Ci si ritrova in situazioni curiose quando non faticose,: non si riesce a intraprendere o portare avanti un rapporto di coppia pur volendolo, o a interromperlo nonostante sia chiaro che si è avuto tutto ciò che quel rapporto poteva dare.

Il modo di stare con gli altri, lo stile di attaccamento di cui parla Bowlby, viene elaborato nel corso dello sviluppo all’interno delle relazioni con i genitori, i fratelli, i nonni, gli insegnanti, gli amici,. Esso tende a riproporsi  nelle relazioni adulte, anche se non completamente.

Ci si avventura più volentieri in rapporti che hanno qualcosa di simile a quelli vissuti  in passato perché tendono a confermare le idee che ci siamo costruiti di noi stessi e degli altri. Bowlby ha chiamato queste idee modelli operativi interni.

Relazioni  molto positive dal punto di vista della comunicazione e del livello di intimità raggiunti possono farci correggere i nostri modelli operativi interni, – così per esempio un partner affettuoso e disponibile può modificare la convinzione di base che gli uomini, o le donne, non sono disponibili – o al contrario, esperienze dolorose o difficili possono mettere in crisi il positivo senso di identità costruito nelle relazioni con i propri genitori. In linea di massima però sono schemi che tendono a mantenersi nel tempo.

Lo stile di attaccamento sembra avere un ruolo sia nella fase iniziale della scelta del partner – insieme alle caratteristiche fisiche, alle affinità, ai valori), sia nel mantenimento della relazione.

L’attrazione sessuale è considerata in genere la componente più importante nelle fasi iniziali di una relazione, ma i rapporti che si basano prevalentemente su di essa tendono a durare poco. Se il rapporto continua è probabile che le componenti di cura e di attaccamento siano divenute importanti.

La possibilità di sperimentare in modo adeguato nuovi legami è strettamente legata alla capacità/possibilità di separarsi dai genitori. Chi ha sperimentato legami insicuri per esempio, in genere sviluppa scarse capacità di separarsi, tenderà quindi a mantenere un legame privilegiato con la famiglia di origine piuttosto che con il partner.

Ognuno di noi ha un particolare stile di attaccamento. Gli studi hanno evidenziato l’esistenza di diversi tipi di attaccamento. Si distingue tra attaccamento sicuro e insicuro., e l’attaccamento insicuro può essere  evitante o  ambivalente.

Nel rapporto di coppia lo stile di attaccamento insicuro evitante si manifesta nella paura di entrare in intimità con l’altra persona e nell’incapacità di dipendere affettivamente da lei, quello insicuro ambivalente nella scarsa fiducia sulla affidabilità del partner. Lo stile sicuro si manifesta al contrario nella capacità di entrare in intimità con il partner e di ricevere e offrire aiuto.

Individui che hanno sperimentato legami familiari sicuri tenderanno a scegliere partner con le stesse caratteristiche. Al contrario individui che hanno sperimentato rapporti familiari insicuri tenderanno a scegliere partner con caratteristiche complementari alle proprie: chi ha paura di entrare in intimità con l’altro sceglierà un partner che desidera un livello di intimità esagerato (e questo gli confermerà che é meglio non coinvolgersi troppo nei rapporti), chi ha poca fiducia nella disponibilità dell’altro, sceglierà partner che si concedono poco (e questo gli confermerà che gli altri sono poco affidabili).

Abbiamo detto che i soggetti sicuri sono in grado di ricevere e fornire cure, gli evitanti invece tendono ad essere autosufficienti e a non chiedere aiuto, tendono a cercare la vicinanza del partner quando questo non fa richieste dirette e se ne tengono a distanza quando questo fa richieste di intimità (per esempio durante una forte emozione o un importante bisogno). Gli ambivalenti invece avanzano molte richieste ma sono poco disponibili a fornire cure o se lo fanno, questo avviene in modo oppressivo che spesso non viene gradito dal partner.

In condizioni conflittuali i soggetti insicuri tendono a mettere in pratica atteggiamenti non costruttivi: dicendo cose che mettono a repentaglio la stabilità della relazione, affrontando ripetutamente il conflitto – nel caso di insicuri ambivalenti –  o evitandolo – nel caso di insicuri evitanti – in un crescendo che può sfociare nella rottura del rapporto.

Sembra lecito pensare che gli insicuri, probabilmente per le maggiori esperienze di solitudine o instabilità affettiva vissute in passato, si mantengano in stato di allerta nel corso di un rapporto importante, per cui ogni segnale di scontentezza del partner viene interpretato come presagio di rottura della storia per cui preferiscono essere loro a provocarne la fine piuttosto che subirla passivamente.

Il tipo di legame che si stabilisce tra due partner condiziona la stabilità del rapporto anche se sia legami sicuri che legami insicuri possono durare nel tempo.

Anche una volta che il sentimento si è esaurito e i partner si sono separati, il legame può rimanere: per rendere meno dolorosa la separazione i due partner si mantengono in contatto anche se ognuno ha stabilito nuovi legami affettivi, per lo meno fino a che non si rendono conto di essere diventati molto diversi e di non avere più niente in comune. A volte il rapporto si è esaurito sul piano sentimentale, ma ancora un’importante funzione di sostegno  della propria identità e può protrarsi più del dovuto fino a che ognuno non è riuscito a ricostruire quella parte di sè legata al rapporto esaurito.