Casi di stalking in adolescenza

Casi di stalking in adolescenza




Quando le stalker sono le amiche adolescenti

Qualche tempo fa mi è capitata a scuola una situazione inquadrabile come fenomeno di stalking. In un primo liceo, una ragazza, che chiamerò Anita, in maniera invadente aveva proposto la sua amicizia ad una compagna, che chiamerò Gianna, che non l’aveva apprezzata anzi, l’aveva percepita come una minaccia, si era spaventata e aveva cominciato ad evitare Anita. Questa aveva interpretato l’allontanamento di Gianna, come se lei non avesse capito e insisteva con la sua proposta, un po’ di persona, un po’ tramite sms. Gianna si spaventava sempre di più e si teneva ancora di più alla larga. Ancora Anita riteneva di non aver mandato un messaggio chiaro e che Gianna non avesse capito e proseguiva con i suoi messaggi in un crescendo che la mostrava sempre più aggressiva, con l’altra sempre più spaventata che cominciava ad assentarsi da scuola.

La storia viene fuori quando gli insegnanti si rendono conto del disagio di Gianna e finalmente se ne può parlare apertamente. Attraverso una serie di interventi in cui vengo chiamata in causa, le due ragazze arrivano ad un confronto chiaro: quella che per Gianna è stata una persecuzione, per Anita era un tentativo di stimolare in Gianna una risposta definita, visto che si manteneva sempre vaga rispetto alle sue proposte di amicizia e avvicinamento.

Per Gianna si trattava di comprendere e superare la paura delle reazioni di Anita, per Anita si trattava di interpretare i segnali vaghi della compagna come risposte negative e accettare l’eventualità di non essere corrisposta nell’amicizia, anche a causa dei suoi modi molesti.

L’incapacità di Anita di cogliere il punto di vista della compagna e elaborare il messaggio di rifiuto ricevuto, e l’incapacità di Gianna di difendersi e affermare le proprie esigenze sono due facce della stessa medaglia.
Come ho già detto in altre occasioni, in psicologia non si tratta di stabilire chi ha ragione e chi ha torto, ma di fare un’analisi della reciprocità che si costruisce in un’interazione, in questo caso tra molestatore e molestato, analisi che, nell’attribuire un ruolo alla persona molestata, le consente di recuperare almeno in parte una possibilità di controllo della situazione.

Roma, Federica morta per choc anafilattico. La sua scomparsa toglie un po’ di futuro a tutti

Roma, Federica morta per choc anafilattico. La sua scomparsa toglie un po’ di futuro a tutti

Qualche giorno fa è morta una ragazza di 16 anni, Federica, che frequentava il terzo liceo nell’istituto dove ho lavorato per tanti anni. Devo averla incontrata Federica tre anni fa quando è arrivata a scuola e coordinavo il lavoro dei tutor per l’Accoglienza nelle prime classi. Sabato sera era uscita con la sua migliore amica e non è più tornata. Una crisi allergica dicono, forse per il miscuglio di shottini, mini cocktail, creme di frutta, che aveva bevuto durante la serata. Cose che fanno i ragazzi quando escono la sera, per allentare le tensioni, per lasciarsi un po’ andare, per farsi qualche risata in più. Poi dalle risate alla disperazione: si è accasciata a terra per la difficoltà respiratoria e sono stati inutili i tentativi degli amici di rianimarla. Forse tra le bevande qualche sostanza per lei proibita.

Ho saputo della tragedia da un’insegnante (e amica) con cui ho collaborato negli ultimi anni. Lei è ancora sotto shock, come anche tutti gli insegnanti del corso di Federica. Ancora di più lo sono i compagni di classe che anche dopo giorni non riescono a credere che sia accaduto davvero e che Federica in classe non tornerà più.  Tutti a scuola, i compagni, gli insegnanti, non si danno pace, per non aver saputo prevenire, per non averla saputa aiutare, per non averla saputa proteggere.

È difficile uscire dallo stato di torpore che spesso accompagna le notizie traumatiche. John Bowlby diceva che le emozioni più intense l’essere umano le vive mentre è impegnato nella costruzione, nel mantenimento ma soprattutto nella rottura (come lo è anche quella dovuta alla morte) dei legami affettivi. Separazioni e perdite sono le esperienze in cui facciamo più fatica a mantenere un senso di continuità personale. Per questo è tanto difficile affrontarle.

Per arrivare a questo c’è tutto un cammino da fare, tutto un percorso in cui rivivere tanti ricordi legati a chi se ne è andato e al rapporto che avevamo con lui (o lei). E allora come si può riprendere la quotidianità scolastica dopo un evento del genere, quando la sofferenza sovrasta qualsiasi logica di apprendimento? In effetti non si può. Non si può proseguire alcuna didattica senza dare spazio alla sofferenza, senza dare spazio alla condivisione dei sentimenti comuni di incredulità, di impotenza, di rabbia, di colpa per non averla saputa aiutare e per essere sopravvissuti: condivisione tra compagni, tra docenti, tra studenti e docenti. Non si può proseguire senza affrontare il tema della morte.

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Coco-Il film, nella storia di Miguel una lezione per adolescenti e genitori

Coco-Il film, nella storia di Miguel una lezione per adolescenti e genitori

Ribellione adolescenziale e dinamiche familiari

L’ultimo film della Disney-Pixar, Coco, diretto da Lee Unkrich, racconta la storia di Miguel, un ragazzino di dodici anni con una passione incontenibile per la musica, che deve vivere segretamente perché (la musica) è assolutamente vietata dalla famiglia, da molto tempo.

Il film Coco, è un continuo alternarsi di allegria e tristezza, tra mondo dei vivi e mondo dei morti, di spinta verso l’esterno e l’esplorazione di se e del mondo di Miguel e di chiusura al mondo con il ritiro in se di un’anziana signora ripiegata in se stessa, nel suo cuore di bambina, nei ricordi di suo padre.

Il film affronta molte tematiche, io vorrei soffermarmi su una, sul bisogno di condividere le regole che si ritiene i figli debbano rispettare e sui rischi che i veti rigidi verso i tentativi di affrancazione del bambino prima, del fanciullo e dell’adolescente poi, possono comportare.
Miguel è tutto sommato un ragazzino equilibrato, che è riuscito fino a quel momento a combinare il suo talento per la musica, con i tabù familiari che a causa di traumi pregressi, vogliono la musica bandita da casa in tutte le sue forme. Il ragazzino costruisce di nascosto la sua identità musicale, coltivando la sua passione senza suscitare la sensibilità familiare, particolarmente quella della nonna, la matriarca della famiglia, il cui pensiero non viene messo in discussione da nessuno.

Andrebbe tutto liscio se non fosse che l’istintiva esigenza di esprimersi e farsi conoscere per quello che è, tipica del momento evolutivo, di affermare, consolidare e condividere la sua musica, spingono Miguel a fare cose maldestre, che lo tradiscono. La nonna scopre la sua passione, la sua chitarra e la sua idea di cantare alla festa dei morti e ribadisce con maggiore forza, distruggendo lo strumento, la regola familiare: niente musica.
Miguel coerentemente con l’istinto adolescenziale, si ribella al divieto e sceglie strade alternative e tortuose, meno dirette, arrivando a rubare ai morti (quindi a infrangere anche ciò che di più sacro ci può essere per la famiglia e la cultura a cui appartiene), per affermare quello che vuole.

Nel suo percorso sarà posto di fronte a molti ostacoli, a situazioni difficili, a volte pericolose, a idealizzazioni e delusioni, che dovrà affrontare per lo più da solo.

La storia rappresenta in forma fiabesca, quello che avviene a partire dalla preadolescenza, quanto l’istinto all’affermazione sia forte, a scapito anche della propria incolumità, e quanto possa essere difficile avventurarsi nel percorso verso l’autonomia, se viene affrontato con l’impressione di non poter contare sull’approvazione delle figure di riferimento, la famiglia, quando questa non riconosce e non accetta la diversità (rispetto alle proprie aspettative) del figlio. Questo come genitori e come adulti lo dobbiamo sempre tenere presente: per un ragazzo l’istinto di affermazione può essere più forte anche dell’istinto di conservazione.

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L’autonomia dei figli sì, ma solo part-time

L’autonomia dei figli sì, ma solo part-time

[…] E’ giusto sperimentare l’autonomia dei ragazzi ma lo si può fare anche di pomeriggio, non necessariamente nel percorso casa-scuola-casa“, così aveva detto inizialmente la ministra Valeria Fedeli in un’intervista sulla legittimità delle richieste di alcuni presidi ai genitori (di andare a prendere i figli a scuola, dopo che una sentenza della Cassazione ha condannato il preside e il docente dell’ultima ora per la morte di uno studente finito sotto uno scuolabus quindici anni fa).

Le richieste dei presidi hanno suscitato polemiche e contrasti da parte delle famiglie che, in un momento in cui potevano allentare l’impegno degli accompagnamenti (si parla di studenti della scuola media) si trovavano retrocesse agli adempimenti e alle dinamiche di una fase evolutiva precedente e i figli a rinunciare ai traguardi raggiunti. Uno scenario paradossale in cui mentre si lavora con i ragazzi per la costruzione di un punto di vista individuale e critico, contemporaneamente si richiede loro di rimanere in una condizione di immaturità.
Nella progressiva conquista dell’autonomia, la libertà nel rientro a casa rappresenta un elemento essenziale.

La scuola media è un periodo scolastico che comprende anche un passaggio evolutivo dal momento che corre parallela alla preadolescenza, quella fase di vita situata fra infanzia e adolescenza, densa di cambiamenti fisiologici e psicologici, sovrapponibile agli anni compresi fra la quinta elementare e la terza media. Spesso definita come età negata o sconosciuta, per la scarsa considerazione che di solito le è conferita. Si differenzia dall’adolescenza vera e propria, perché i cambiamenti fisici cominciano appena ad accennarsi. Sul piano emotivo è un’ertà di sospensione, caratterizzata dal distacco dal mondo idealizzato e fiabesco dell’infanzia. Tutto ciò che piaceva prima deve essere rifiutato a cominciare dal linguaggio famigliare che deve lasciare il posto al nuovo linguaggio generazionale elaborato insieme ai coetanei.
È a partire dall’inizio della scuola media che molti cominciano a compiere da soli il tragitto casa-scuola e a trascorrere molto più tempo lontano dal controllo dei genitori. L’esigenza di autonomia è pressante e solo adttraverso l’opposizione i ragazzi sentono di esistere come individui separati, in quanto capaci di affermare una volontà diversa da quella dei genitori. Sfuggire al loro controllo e a quello degli altri adulti di riferimento è condizione necessaria per esplorazioni autonome di luoghi e relazioni. Le amicizie rappresentano l’oggetto e il veicolo di questo percorso. I coetanei da compagni di giochi diventano confidenti, complici, elementi di confronto con la realtà. Per il preadolescente prima e per l’adolescente poi, il gruppo rappresenta tutto. Nel gruppo si sente riconosciuto, capito, sperimenta un senso di appartenenza. Verso i 10-11 anni inizia un processo di costruzione (o meglio di integrazione) di un’identità sociale e di un senso di appartenenza al di fuori della famiglia, riconoscibile a partire dall’acquisizione di nuovi modi di vestire o di atteggiarsi, condivisi dal gruppo. Per molti il gruppo è costituito soprattutto dai compagni di classe: il ragazzo trascorre a scuola buona parte della sua giornata e i rapporti più importanti li costruisce lì. La scuola in generale rappresenta un “serbatoio di amicizie” che si alimentano nel tragitto dell’andata, ma soprattutto del ritorno: trattenersi qualche minuto all’uscita, fare un pezzo di strada insieme è il minimo sindacale per costruire e mantenere relazioni sociali, in una fase evolutiva in cui la stima e l’autostima si misurano sul numero di relazioni raggiunte.

La vicenda, nata dalla necessità dei presidi di rispettare la sentenza della Cassazione, sembrava dunque non tenere conto di quelli che sono i bisogni evolutivi preadolescenziali e sarebbe andata ad appesantire il già difficile rapporto tra scuola e famiglia: uno spazio emotivo in cui le possibilità di incomprensioni sono sempre in agguato

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I Disturbi alimentari psicogeni. Giornata della bulimia e dell’anoressia, l’adolescenza è la porta del disagio

I Disturbi alimentari psicogeni. Giornata della bulimia e dell’anoressia, l’adolescenza è la porta del disagio

La sensibilità ai commenti dei coetanei

Ludovica, 15 anni, da qualche settimane evita di uscire di casa se non è necessario, continua ad andare a scuola ma evita di uscire dalla classe durante la ricreazione e all’uscita si dilegua velocemente. Si è messa in testa di seguire una dieta severa che le consenta di dimagrire velocemente. Poche settimane prima mentre camminava nei corridoi per andare da una zona all’altra della scuola, è passata davanti ad alcuni compagni di poco più grandi ed è sicura di aver sentito un commento su di lei, sulle sue forme, soprattutto sulla sua ciccia.
Una situazione molto comune quella delle prese in giro e dei commenti da parte dei compagni, che per ragazze sensibili come Ludovica hanno un potere disconfermante, in grado di innescare uno squilibrio.

Molti disturbi alimentari iniziano così, molti disturbi alimentari iniziano in adolescenza.
L’adolescenza è in generale un periodo critico per l’emergere di vari comportamenti disfunzionali. E’ un momento delicato per i cambiamenti rapidi e vistosi che avvengono a vari livelli: l’adolescente passa velocemente da un corpo bambino a un corpo adulto, per il quale prova spesso sentimenti di estraneità e inadeguatezza; grazie alla maturazione neurologica avviene un cambiamento nel rapporto con la realtà che viene vista in diverse sfaccettature e non solo in quella che vive direttamente; avvengono cambiamenti importanti anche nelle relazioni familiari, i genitori cominciano ad essere percepiti come persone comuni, con i loro limiti e le loro incertezze e questo stimola sentimenti di delusione e solitudine.
Gli adolescenti attraversano questi cambiamenti per la maggior parte senza troppe difficoltà, sviluppando una propria autonomia e individualità parallelamente al distacco affettivo dalla famiglia di origine.
Alcuni però, come Ludovica, hanno più difficoltà ad accettare il cambiamento del proprio corpo, a gestire la complessità di una realtà sfaccettata, a cambiare l’immagine dei propri genitori. Il doverli vedere come persone comuni con le loro incertezze e insicurezze provoca una delusione più marcata, che mette in discussione il senso di sé raggiunto fino a quel momento. Un senso di sé poco definito, che da una parte ha bisogno di conferme esterne e approvazione da parte di persone significative, dall’altra teme il giudizio e la disapprovazione.
Il comportamento alimentare aiuta a gestire questa oscillazione tra bisogno e paura: i sentimenti di incapacità, insicurezza, incompetenza personale, che vengono stimolati dal confronto con gli altri, prendono forma in un corpo inaccettabile a cui ci si rassegna o a cui ci si oppone.

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