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[…] E’ giusto sperimentare l’autonomia dei ragazzi ma lo si può fare anche di pomeriggio, non necessariamente nel percorso casa-scuola-casa“, così aveva detto inizialmente la ministra Valeria Fedeli in un’intervista sulla legittimità delle richieste di alcuni presidi ai genitori (di andare a prendere i figli a scuola, dopo che una sentenza della Cassazione ha condannato il preside e il docente dell’ultima ora per la morte di uno studente finito sotto uno scuolabus quindici anni fa).

Le richieste dei presidi hanno suscitato polemiche e contrasti da parte delle famiglie che, in un momento in cui potevano allentare l’impegno degli accompagnamenti (si parla di studenti della scuola media) si trovavano retrocesse agli adempimenti e alle dinamiche di una fase evolutiva precedente e i figli a rinunciare ai traguardi raggiunti. Uno scenario paradossale in cui mentre si lavora con i ragazzi per la costruzione di un punto di vista individuale e critico, contemporaneamente si richiede loro di rimanere in una condizione di immaturità.
Nella progressiva conquista dell’autonomia, la libertà nel rientro a casa rappresenta un elemento essenziale.

La scuola media è un periodo scolastico che comprende anche un passaggio evolutivo dal momento che corre parallela alla preadolescenza, quella fase di vita situata fra infanzia e adolescenza, densa di cambiamenti fisiologici e psicologici, sovrapponibile agli anni compresi fra la quinta elementare e la terza media. Spesso definita come età negata o sconosciuta, per la scarsa considerazione che di solito le è conferita. Si differenzia dall’adolescenza vera e propria, perché i cambiamenti fisici cominciano appena ad accennarsi. Sul piano emotivo è un’ertà di sospensione, caratterizzata dal distacco dal mondo idealizzato e fiabesco dell’infanzia. Tutto ciò che piaceva prima deve essere rifiutato a cominciare dal linguaggio famigliare che deve lasciare il posto al nuovo linguaggio generazionale elaborato insieme ai coetanei.
È a partire dall’inizio della scuola media che molti cominciano a compiere da soli il tragitto casa-scuola e a trascorrere molto più tempo lontano dal controllo dei genitori. L’esigenza di autonomia è pressante e solo adttraverso l’opposizione i ragazzi sentono di esistere come individui separati, in quanto capaci di affermare una volontà diversa da quella dei genitori. Sfuggire al loro controllo e a quello degli altri adulti di riferimento è condizione necessaria per esplorazioni autonome di luoghi e relazioni. Le amicizie rappresentano l’oggetto e il veicolo di questo percorso. I coetanei da compagni di giochi diventano confidenti, complici, elementi di confronto con la realtà. Per il preadolescente prima e per l’adolescente poi, il gruppo rappresenta tutto. Nel gruppo si sente riconosciuto, capito, sperimenta un senso di appartenenza. Verso i 10-11 anni inizia un processo di costruzione (o meglio di integrazione) di un’identità sociale e di un senso di appartenenza al di fuori della famiglia, riconoscibile a partire dall’acquisizione di nuovi modi di vestire o di atteggiarsi, condivisi dal gruppo. Per molti il gruppo è costituito soprattutto dai compagni di classe: il ragazzo trascorre a scuola buona parte della sua giornata e i rapporti più importanti li costruisce lì. La scuola in generale rappresenta un “serbatoio di amicizie” che si alimentano nel tragitto dell’andata, ma soprattutto del ritorno: trattenersi qualche minuto all’uscita, fare un pezzo di strada insieme è il minimo sindacale per costruire e mantenere relazioni sociali, in una fase evolutiva in cui la stima e l’autostima si misurano sul numero di relazioni raggiunte.

La vicenda, nata dalla necessità dei presidi di rispettare la sentenza della Cassazione, sembrava dunque non tenere conto di quelli che sono i bisogni evolutivi preadolescenziali e sarebbe andata ad appesantire il già difficile rapporto tra scuola e famiglia: uno spazio emotivo in cui le possibilità di incomprensioni sono sempre in agguato

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