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Il significato dei tatuaggi va ricercato nella cultura e nella storia di vita di una persona

Il significato dei tatuaggi va ricercato nella cultura e nella storia di vita di una persona

da patrizia mattioli | Apr 21, 2023 | Blog su Il Fatto Quotidiano, NEWS

 

Mary guarda quella sigla che ha perso il significato originale di amore eterno. Di eterno è rimasta solo lei, una data e due lettere che ora sembrano particolarmente stonate sulla pelle. E’ pentita di aver dato a quella storia uno spazio così indelebile. Perché lo ha fatto?

In generale il significato dei segni sulla pelle va ricercato nel contesto culturale e nella storia di vita di una persona. Quando un adolescente ricorre al tatuaggio, spesso lo fa per un’affermazione di sé, come a dire “io sono io”.

Attraverso la trasgressione, se il tatuaggio non è ben visto in famiglia, l’adolescente cerca di individuarsi, o di affermare la sua identità, di rivendicare la sua indipendenza, di sfuggire al controllo genitoriale.

Anche per Mary era stato così: i suoi non volevano e lei lo aveva fatto alla prima occasione, la prima vacanza studio all’estero, in una parte del corpo non visibile. Un’affermazione di sé all’insaputa dei genitori, senza rischiare ripercussioni.

Se pensiamo al tatuaggio come a una forma di espressione di sé, esso può rappresentare diversi significati e funzioni:

– quella di esorcizzare una paura; chi ha paura di un animale può tatuarsi quell’animale e avere così l’impressione di dominarla e sentirsi più sicuro.

– quella di convincersi che modificare l’immagine del corpo possa avere ripercussioni positive sulla mente.

– quella di suggellare un legame affettivo o un momento della vita e farlo rimanere nel tempo, come un tatuaggio.

– quella di rispondere a un bisogno di miglioramento: il tatuaggio può abbellire o coprire un difetto, una cicatrice, una macchia.

Ci si tatua per un senso di appartenenza, a un gruppo, a una cultura. O per il bisogno di sorprendere: Alessio ha un tatuaggio enorme sulla schiena. Gli piace stupire gli altri, soprattutto i colleghi che lo vedono sempre impeccabile negli abiti e nei modi per poi scoprire, magari al mare o in palestra, un’altra parte di lui, quella più trasgressiva che sembra sfidare la tenuta del rapporto di amicizia o professionale con il messaggio implicito: “mi apprezzi e mi accetti per come sono o per come sembro?”

Ci si fa un tatuaggio anche quando si ha difficoltà ad elaborare esperienze e vissuti, che comunque sono presenti e attivi. Le parole e i pensieri diventano azioni sul corpo, a volte contro il corpo, lì dove si percepisce concretamente la sofferenza. A volte emozioni come l’inadeguatezza, la colpa, la vergogna, la rabbia, l’odio emergono da dentro a fuori, da sotto a sopra la pelle.

Risale alle esplorazioni nel Settecento dell’inglese James Cook il ritorno del tatuaggio (dal polinesiano tau tau, che significa “segno sulla pelle”) in Europa al suo ritorno dai Mari del Sud. Ma il tatuaggio ha origini molto antiche che risalgono apiù di 5000 anni fa. Gli studiosi della materia ipotizzano che sia nato come metodo per lenire i dolori sfregando sulla pelle carbone polverizzato, e che abbia assunto solo successivamente altri significati.

Nelle culture occidentali il tatuaggio ha alternato periodi di centralità a periodi di assenza e di divieto. I Celti adoravano divinità animali e se ne disegnavano simboli sulla pelle. Gli antichi romani, al contrario, credevano nella purezza del corpo umano e vietavano i tatuaggi che venivano usati soltanto per marchiare i criminali.

 

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