Aggressioni a scuola, basta con la narrazione che vuole sempre studenti e genitori carnefici

Aggressioni a scuola, basta con la narrazione che vuole sempre studenti e genitori carnefici

 

È certamente deprecabile il gesto del ragazzo di 15 anni che a Taranto prende a calci e pugni un professore, come lo è il comportamento del genitore che aggredisce un insegnante… ma quando si pubblicano queste notizie, gli articoli sono piuttosto sintetici, dando quasi per scontato che ciò che è scritto è tutto quello che basta sapere, come se gli episodi non avessero una storia e gli aggressori fossero gli unici protagonisti. Il professore aggredito dal quindicenne è il marito di un’insegnante del ragazzo. C’è una relazione tra i fatti?

Quella che leggiamo è una narrazione coerente con il periodo storico che vuole genitori e studenti carnefici e insegnanti e scuola vittime, senza neanche provare a ricostruire gli antecedenti di quanto accade. Narrazione sostenuta purtroppo anche da stimati colleghi che dovrebbero piuttosto lavorare per costruire una spiegazione condivisa su come si è arrivati a certi eccessi. Dal punto di vista del responso finale questo probabilmente non cambierebbe nulla, quello studente rimarrebbe comunque responsabile dell’aggressione, come anche quel genitore.

Cambierebbe molto invece per quel che riguarda le possibili soluzioni. Non è certo l’inasprimento delle pene a evitare aggressioni, per lo più istintive e risultato di un percorso che non si costruisce da soli, dove ogni componente fa la sua parte. Vorrei sottolineare ancora una volta che la scuola è luogo di apprendimento e formazione e non di addestramento al quale sono delegati altri spazi.

Peraltro non deresponsabilizzerei la scuola e gli insegnanti a priori senza entrare nel merito dei singoli episodi. La maggior parte degli insegnanti e dei dirigenti sono appassionati del loro lavoro, focalizzati sui bisogni dei loro studenti, sensibili alle loro richieste. Ci sono poi quelle eccezioni che arrivano nella scuola per ripiego, o magari non hanno ottenuto quel trasferimento e/o che non sono “risolti” nelle vicende personali e inconsapevolmente, ma a volte anche no, abusano della posizione che ricoprono per tiranneggiare, giudicare, disapprovare apertamente gli studenti, che lavorano con atteggiamenti pregiudiziali, che si accaniscono con quelli che non sono gli allievi modello di cui hanno bisogno per sentirsi confermati.

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Le assenze e la reciprocità nelle relazioni scolastiche(I PARTE)

Le assenze e la reciprocità nelle relazioni scolastiche(I PARTE)

Perchè le assenze?

Un tema che accomuna molti insegnanti è l’insofferenza verso il modo in cui gli studenti affrontano i loro doveri scolastici, secondo loro lo fanno in maniera superficiale, immatura, insufficiente. L’insofferenza più marcata comincia da quello più concreto di essere o meno presenti a scuola, cioè dalle assenze.

Per gli insegnanti, gli studenti sono troppo spesso assenti, lamentano l’assenteismo come pratica molto diffusa e si rammaricano che questa consuetudine abbia inevitabilmente ripercussioni sul programma di lavoro al momento di introdurre argomenti nuovi o di verificare l’apprendimento.

Le giustificazioni degli studenti, dalle più banali a quelle più importanti, non riescono in genere a modificare una convinzione di fondo degli insegnanti e cioè che la vera ragione di tante assenze è l’immaturità, lo scarso impegno scolastico, la scarsa voglia di lavorare.

L’atteggiamento assenteista sarebbe rinforzato dall’appoggio dei genitori che troppo spesso, per lo meno secondo gli insegnanti, non aiutano i figli a prendersi le loro responsabilità, ma anzi li proteggono e li assecondando coprendo le loro assenze.

Le relazioni scolastiche, come tutte le relazioni, sono rapporti di reciprocità affettivo-emotiva, e tutto ciò che avviene all’interno di questa reciprocità, rappresenta la forma che assume in quel momento quella relazione, possiamo perciò considerare l’assenza scolastica come un indicatore dell’andamento della relazione tra insegnante, studente e genitore in un determinato momento.

L’argomento assenze viene più facilmente studiato allo scopo di controllare e contenere il fenomeno e meno per comprenderlo. L’informatizzazione dei controlli, il calcolo e la classificazione delle assenze, le lettere di richiamo alle famiglie, caratterizzano un approccio basato sull’idea che l’assenza sia illegittima e messa in pratica da pochi, mentre i dati statistici più recenti dicono che le assenze di oggi sono numerose, ricorrenti e messe in atto da sempre un maggior numero di studenti.

Quali sono le cause più comuni del comportamento assenteista?

Se facciamo riferimento alla letteratura e all’esperienza lavorativa personale, possiamo provare a fare un elenco:

a) per alcuni studenti, l’assenza sembra essere una forma di demarcazione dalla famiglia, un modo per avere un periodo di tempo tutto per sé fuori dal controllo familiare; per altri è una forma indiretta di richiesta di aiuto: uno studente si assenta più o meno consapevole del fatto che le sue assenze non saranno ignorate.

b) per alcuni studenti il carico di lavoro sia a casa che a scuola è avvertito come eccessivo e qualche giorno di assenza consente loro di recuperare energie e rimettersi in paro con i programmi. Anche il numero elevato di materie qualche volta tiene gli studenti fuori dalla scuola: le troppe materie comporterebbero un apprendimento superficiale e meccanico, di quantità di informazioni considerate eccessive.

c) l’assenza è un modo per non essere fagocitati dal sistema e perdere di vista quelli che sono gli interessi personali.

d) un altro motivo sembra essere la noia. Secondo gli studenti, certi insegnanti non sanno trasmettere la passione per la loro materia, o meglio non sanno entrare in relazione con i propri studenti e la lezione si risolve in una sequenza di informazioni meccaniche difficili da acquisire.

e) la mancanza di uno spazio dedicato alla comunicazione e alla conoscenza reciproca, alla considerazione dei propri interessi e delle proprie caratteristiche personali, rende a volte lo spazio scolastico un luogo troppo stretto dal quale ogni tanto ci si deve allontanare.

f) infine e non certo per ultimo, il problema della valutazione, la paura del voto, di essere interrogati, di essere valutati. Il non saper/poter ancora distinguere tra voto (sulla prestazione) e giudizio personale (derivato dal voto).

Uno Psicologo nella Scuola

Uno Psicologo nella Scuola

Uno Psicologo nella Scuola
Alpes Italia 2015Uno Psicologo nella Scuola
di Patrizia Mattioli
Editrice Alpes Italia
pp. 142 I° edizione Roma 2015
€ 13,00 ISBN 978886531-314-5
È uscito a gennaio il mio nuovo libro Uno Psicologo nella Scuola
E’ un libro che ho scritto per raccontare la scuola e l’esperienza di  venticinque anni di consulenza scolastica. Ė un libro che parla del lavoro dello psicologo, ma soprattutto è un libro che parla di scuola, dell’incontro di studenti adolescenti, insegnanti e genitori, delle dinamiche che si costruiscono, della difficoltà di trovare un linguaggio comune. È rivolto a tutti i protagonisti della scuola, ma soprattutto a genitori e insegnanti,. Attraverso le storie e le esperienze raccontate il libro vuole fornire strumenti utili ad avvicinarsi e comprendersi reciprocamente, oltre ad avvicinare e comprendere il complicato e delicato mondo scolastico adolescenziale.
La scuola è una rete di relazioni dove studenti, insegnanti e genitori si incontrano e incrociano i propri modi di essere. Da questo incontro nasce un significato comune che offre ad ognuno un’immagine di sé che non può più prescindere dagli altri, un’identità scolastica che definisce per ognuno il suo sentirsi o non sentirsi parte di quella comunità.
La Scuola è uno scorrere parallelo e simultaneo di momenti di vita che continuamente riverberano gli uni con gli altri creando contrasti che rappresentano allo stesso tempo momenti di crisi che possono diventare momenti di crescita .
Sono importanti le storie personali dei ragazzi, dei genitori, degli insegnanti perché è attraverso le storie che si riesce a comprendere la coerenza di una crisi ed è possibile trasformarla in crescita.

Il libro si compone di due parti. Nella prima parte vengono affrontati gli aspetti teorici sia per quanto riguarda le norme che regolano la presenza dello psicologo a scuola e il ruolo che ne emerge, sia per quanto riguarda l’approccio teorico di riferimento che guida chi scrive. Viene illustrato il modello cognitivista post razionalista e la sua applicazione alle dinamiche scolastiche, con una parentesi sui vissuti dei protagonisti della scuola e uno ampio spazio dedicato alla lettura post razionalista del percorso adolescenziale.
La seconda parte è dedicata alle diverse esperienze che la presenza a scuola consente allo psicologo: la consulenza, l’approccio alle emergenze relazionali, la formazione dei gruppi di tutor per l’Accoglienza, i sondaggi conoscitivi, gli incontri a tema e le giornate di approfondimento. Tutti gli spazi raccontano le strategie utilizzate e nello stesso tempo sono un pretesto per l’approfondimento di temi adolescenziali.

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Psicologia, se il panico inizia fra i banchi di scuola

Il Prof. Giorgi non è un cattivo insegnante, anzi, è più buono e disponibile di altri. Solo che è un po’ burbero, diretto. Gli studenti lo temono, soprattutto quelli del primo anno. Uno in particolare, che chiamerò Emanuele, ieri ha passato un brutto momento, si è lasciato prendere dal panico perché c’era una ragionevole probabilità di essere interrogato proprio da lui. Ha cominciato a sentire un grande peso al petto, a tremare, a non riuscire a stare in equilibrio in piedi. Un compagno lo ha accompagnato fuori dalla classe e si sono seduti sulle scale, io stavo salendo al piano superiore e mi sono fermata a parlarci un po’. Alle interrogazioni di solito Emanuele fa scena muta, per lo meno al liceo e non solo con questo insegnante. E non perché non abbia studiato, ma perché ha paura di sbagliare, di tirare fuori qualche sfondone che provoca le reazioni brusche dell’insegnante e le risate dei compagni.

Si era sentito nel panico con questo stesso insegnante i primi giorni di scuola. I problemi però non sono iniziati al liceo, anche prima alla scuola media, si agitava, ma non gli era mai successo di non rispondere a nessuna domanda.

A casa Emanuele studia da solo e non ripete la lezione a nessuno, sarebbe invece importante che lo studio fosse seguito da una prima verifica personale che, attraverso la ripetizione della lezione da preparare, diventa anche la simulazione dell’interrogazione con l’anticipazione delle reazioni emotive.

E’ importante per uno studente, arrivare a capire qual è il significato della sua intensa reazione emotiva e della difficoltà a contenerla e gestirla.

Che significa per Emanuele essere interrogato? Qual è il suo senso di autovalutazione? A quest’età è difficile distinguere tra se stessi e la prestazione scolastica, così un giudizio negativo sulla prestazione corrisponde ad un giudizio negativo su di sé come persona, e questo è coerente con il panico che prova.

Costruire un significato significa anche ricostruire una storia. Nella vita di Emanuele c’è un nonno autoritario e invadente, critico e intransigente, che assomiglia un po’ al professore temuto, è uno che ha sempre un motivo per criticare. Suo figlio, il padre di Emanuele, sembra riuscire a contenere poco la sua intrusività. Quando Emanuele sta con il nonno, non sa mai cosa si può aspettare.

Si può capire da dove nasce la sensibilità emotiva di Emanuele. Il passaggio alla scuola superiore poi fa il resto.

E’ importante che un ragazzo costruisca prima possibile una buona relazione con i nuovi compagni e con gli insegnanti. Come genitori possiamo sostenerli mentre costruiscono nuove amicizie e possiamo aiutarli a farsi conoscere e capire dai docenti. Agli insegnanti possiamo spiegare come (i nostri ragazzi) sono fatti. Possiamo favorire un contatto diretto, magari coinvolgendoli nei colloqui con gli insegnanti, soprattutto con i più temuti.

 

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Maturità, notti insonni prima degli esami. Soluzioni?

Maturità, notti insonni prima degli esami. Soluzioni?

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La scuola è finita, ma non per Giorgia che fa il quinto e quest’anno ha gli esami di maturità. La cosa la preoccupa non poco. E’ dall’inizio del liceo che pensa a questo momento e dall’inizio dell’anno scolastico il pensiero è diventato ossessivo, con tutti gli accessori di ansia, rigidità, insonnia, che se all’inizio dell’anno erano sporadici ora sono quotidiani. Si sveglia già stanca e le sue capacità di apprendere sono prossime allo zero, ricorda poco di quello che legge e deve tornare continuamente sullo stesso argomento.

L’esame di maturità è un passaggio importante che rimane impresso nella memoria per le forti emozioni che lo accompagnano e Giorgia lo conferma. Di solito prevale la paura: una grande preoccupazione per alcuni, una forte ansia per altri, panico per altri ancora.

Gli esami di maturità sono un vero banco di prova per la tenuta emotiva personale.

Una certa dose di ansia è fisiologica e necessaria per stimolare lo studio. Superata una certa soglia però non ha più la funzione di stimolo e si trasforma in ostacolo.

Quando succede, spesso è perché la prova reale e magari anche il suo significato simbolico di passaggio all’età adulta, sono percepiti come fuori dalla propria portata, irraggiungibili, con pochi strumenti per affrontarli. Oltre naturalmente al pensiero per ciò che si pensa di lasciare, e per gli scenari che si hanno per il futuro. L’esame si inserisce nello spazio tra una vita scolastica scandita da precisi ritmi quotidiani, fatti di compiti e interrogazioni, e qualcosa di meno ritmato e definito, un salto nel buio per chi non ha ancora le idee chiare.

Giorgia in verità uno scenario futuro ce l’ha, farà l’università perché vuole diventare insegnante. Il suo problema è forse quello di non essersi mai messa troppo alla prova: suo padre è molto protettivo e sua madre è molto ansiosa (all’epoca ha interrotto gli studi per evitare gli esami), non sa come aiutare la figlia, entra troppo in empatia con lei. Per Giorgia perciò già affrontare l’esame sarà un grande risultato. I suoi genitori possono sostenerla semplicemente standole vicino, magari cercando di tenere a bada le proprie preoccupazioni, il resto lo deve fare da sola.

In generale si può fare qualcosa per sostenere i ragazzi di fronte a queste prove, ma il più lo devono fare da soli.

Possiamo parlare con loro se ne hanno voglia e aiutarli a ridimensionare la portata, a tenere conto del percorso fatto finora e che la maturità se la sono già quasi conquistata. Magari non sottolineare l’irrazionalità della paura, la sanno riconoscere da soli, solo che se non sono in grado di contenerla, possiamo aiutarli a pensare al dopo, o a immaginare un dopo se ancora non lo hanno fatto, questo darà all’esame una dimensione più temporanea, più relativa.

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