da patrizia mattioli | Lug 4, 2022 | Blog su Il Fatto Quotidiano

Per gli adolescenti di oggi la scuola non è un luogo sicuro in cui mettersi alla prova, crescere, imparare. Il 30% dei ragazzi vive infatti l’istituzione scolastica come luogo di insicurezza e disagio, spesso scenario di atti di violenza e bullismo.
E’ quello che emerge da una ricerca internazionale appena pubblicata su Frontiers in Psychiatry. Il gruppo di esperti guidato dall’Università di Turku in Finlandia ritiene che il problema assuma dimensioni globali e che uno dei motivi principali sia la fine del dialogo tra insegnanti e ragazzi.
Gli autori confermano con questa ricerca un concetto che chi lavora nella scuola – insegnanti, personale Ata, soprattutto psicologi scolastici – sa da sempre: quanto sia importante la scuola nello stimolare sentimenti di sicurezza e protezione negli studenti e quanto questi siano soprattutto veicolati dalle relazioni che vi si stabiliscono, in particolare dalla relazione tra studente e insegnante.
La famiglia ha il suo ruolo nella costruzione della personalità dello studente, su questo non c’è dubbio, è ampiamente dimostrata l’importanza della relazione con le figure di attaccamento, genitori o loro sostituti; ma dobbiamo considerare che la scuola è un luogo in cui si trascorre molto tempo e per forza di cose vi si costruiscono rapporti significativi e in grado di incidere sull’equilibrio o comunque sullo stato d’animo di uno studente.
La scuola ha il suo peso, in positivo e in negativo: e può indistintamente essere fonte di disagio o diventare una base sicura – e luogo in cui “rifugiarsi” se le relazioni in famiglia sono, più o meno temporaneamente, instabili – a seconda che si riesca o meno a costruire rapporti significativi positivi al suo interno.
Lo studente oggi fa più fatica a trovare a scuola un adulto di riferimento in grado di vederlo per quello che è, di riconoscerlo come essere umano nella sua unicità e confermarlo, perché l’insegnante è appesantito da troppe ingerenze e a volte anche da troppi studenti da seguire, complice anche la pandemia e la diversa modalità di fare scuola. Se la scuola dunque è un ambiente fondamentale per la tranquillità e il benessere personale dei suoi protagonisti, deve essere adeguato l’investimento che si fa su di essa, deve essere riconosciuto come un luogo in cui l’obiettivo non è soltanto didattico ma anche, anzi soprattutto, relazionale, formativo, educativo in generale.
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da patrizia mattioli | Ott 29, 2021 | Blog su Il Fatto Quotidiano

La scuola attuale favorisce gli studenti tradizionalmente più capaci a memorizzare e ragionare in modo analitico. Privilegiare il ragionamento analitico, quello che si misura attraverso i test che danno come risultato un Qi (quoziente intellettivo), cioè un numero che indica quanto la persona si colloca nella media dei risultati generali, è però di scarsa o nulla utilità per risolvere i problemi attuali del mondo. Non si può considerare l’intelligenza come un’unica funzione valutabile attraverso abilità logico-matematiche.
E’ quello che sostiene Robert Sternberg, psicologo statunitense, tra i maggiori studiosi dell’intelligenza e dello sviluppo cognitivo. Se l’uomo continua ad agire così, lascerà ai figli e ai nipoti un mondo surriscaldato e inquinato. Abbiamo bisogno di ripensare l’intelligenza in termini più ampi.
Secondo Sternberg l’Intelligenza è ciò che una persona fa della sua vita e non la prestazione a test di stimoli artificiali che non hanno niente a che vedere con la vita reale. Sono ‘intelligenti di successo’ le persone consapevoli dei propri punti di forza e di debolezza, che riescono a valorizzare i primi e a correggere o compensare i secondi.
I punti di forza e di debolezza sono valutati in base a quattro abilità: creative, analitiche, pratiche e basate sulla saggezza. L’individuo ha bisogno di essere creativo per generare idee nuove e utili; analitico per accertare che le idee che ha (e che altri hanno) siano buone; pratico per applicare quelle idee e convincere gli altri del loro valore – l’intelligenza pratica corrisponde a quello che in genere chiamiamo “senso comune”- e saggio per assicurare che l’attuazione delle idee contribuisca a garantire un bene comune attraverso la mediazione di principi etici positivi.
La ricerca di Sternberg ha mostrato che molte persone che hanno un’alta intelligenza scolastica (quindi un alto Qi) mancano di senso comune e viceversa molte persone con grande senso comune non hanno un Qi particolarmente elevato. Negli Stati Uniti (e io direi anche qui da noi), l’ammissione universitaria – per esempio – spesso dipende dall’intelligenza scolastica e non dall’intelligenza pratica, così si finisce per collocare in posizioni di leadership persone con titoli universitari per le quali sono dolorosamente non qualificate. Sono persone in grado di risolvere problemi scolastici, ma non problemi reali.
forme di intelligenza per raggiungere un bene comune, in prospettiva sia a breve che a lungo termine.
Il Q.I. è di scarsa o nulla utilità per risolvere i problemi che affronta il mondo: l’autoritarismo, il razzismo, la xenofobia, le armi di distruzione di massa, il terrorismo, l’inquinamento, il cambiamento nel clima globale, la pandemia….
(segue)
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da patrizia mattioli | Set 11, 2020 | Blog su Il Fatto Quotidiano

Basterà il Covid per il riconoscimento istituzionale del ruolo dello psicologo e degli interventi psicologici nella scuola? Con le misure di prevenzione messe in atto con il lockdown sono venuti a mancare molti punti di riferimento, di cui la scuola è uno dei più importanti.
Sono stati messi a dura prova gli equilibri familiari e ora che si ritorna in classe in presenza dopo mesi di autonomia e autogestione, dopo un periodo di relativa tranquillità, si riaffaccia il disagio vissuto, con i dubbi, le incertezze, le ansie per il futuro prossimo. Come si realizzerà questo rientro, peraltro considerato da tutti fondamentale per la ripresa della vita “normale”?
Con la chiusura degli istituti scolastici gli studenti, grandi e piccoli, hanno vissuto un brusco cambiamento nel loro percorso formativo e il rivoluzionamento della loro quotidianità. I genitori, da parte loro, hanno vissuto nel lockdown un grande carico emotivo dovendo combinare le esigenze lavorative con quelle familiari e dovendo affiancare i figli nel processo di adattamento all’emergenza sanitaria.
La prospettiva della ripresa scolastica con i dubbi e le incertezze su come effettivamente si realizzerà e sulla concreta probabilità di nuove restrizioni, complice il rinnovato aumento dei casi, è motivo di grande preoccupazione. Molti genitori hanno comprensibilmente paura di non riuscire a portare avanti i propri progetti lavorativi con i figli a casa, la gestione della didattica a distanza e dell’organizzazione familiare.
Con la chiusura degli istituti scolastici gli studenti, grandi e piccoli, hanno vissuto un brusco cambiamento nel loro percorso formativo e il rivoluzionamento della loro quotidianità. I genitori, da parte loro, hanno vissuto nel lockdown un grande carico emotivo dovendo combinare le esigenze lavorative con quelle familiari e dovendo affiancare i figli nel processo di adattamento all’emergenza sanitaria.
La prospettiva della ripresa scolastica con i dubbi e le incertezze su come effettivamente si realizzerà e sulla concreta probabilità di nuove restrizioni, complice il rinnovato aumento dei casi, è motivo di grande preoccupazione. Molti genitori hanno comprensibilmente paura di non riuscire a portare avanti i propri progetti lavorativi con i figli a casa, la gestione della didattica a distanza e dell’organizzazione familiare.
Il ritorno a scuola non sarà facile, sarà un’organizzazione rigida con grandi limitazioni comportamentali difficili da rispettare soprattutto per i piccoli che avranno più difficoltà a comprendere. Socialità compulsiva o ritiro sociale, difficoltà di concentrazione, irritabilità e, con l’aumento dell’età anche comportamenti a rischio (abuso di sostanze, di alcool, di internet), potrebbero essere all’ordine del giorno e si dovranno fare grandi sforzi per comprendere e per intervenire senza drammatizzare e senza vedere solo gli aspetti patologici, ma sforzandosi di rimanere nel qui ed ora e comprendendo il disagio che i comportamenti stessi esprimono.
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da patrizia mattioli | Apr 23, 2019 | Blog su Il Fatto Quotidiano
Le pause didattiche per le festività sono una manna per gli studenti e un problema per i genitori. La rilevanza del problema è direttamente proporzionale all’ordine scolastico di frequenza: più l’ordine è basso, più i genitori sono in difficoltà.
Parliamo dei genitori di oggi che costruiscono famiglie prevalentemente nucleari, a volte monogenitoriali, che gestiscono per la maggior parte da soli l’impegno e le responsabilità della genitorialità.
La complessità della vita quotidiana rende necessaria una notevole flessibilità e intercambiabilità di ruoli all’interno della famiglia: i padri tendono oggi a lasciare spazio in alcune delle aree che erano di loro esclusiva competenza, dedicandosi a quelle funzioni affettive che in passato erano delegate quasi totalmente alle madri. Le madri rinunciano in parte all’esclusività del rapporto con i figli per maggiori possibilità di realizzazione personale all’esterno della famiglia.
Questo cambiamento avviene non senza difficoltà da parte di entrambe le figure. Il tutto si regge su un fragile equilibrio in cui la scuola ha un suo ruolo e quando la scuola chiude l’equilibrio vacilla.
Le scuole chiudono per le festività, per i ponti, per le elezioni ecc.., quello che è appena iniziato dicono che sia il ponte più lungo della storia, le famiglie si sentono abbandonate a se stesse e devono far ricorso a tutte le risorse disponibili, spesso poche: non tutti hanno nonni (o zii, o parenti, o amici,..) che si offrono, o risorse economiche per soluzioni alternative (baby sitter, ludoteche, spazi ricreativi ..) così i momenti che dovrebbero essere di riposo per tutti, per i genitori sono spesso i più faticosi al punto che il rientro al lavoro può sembrare meno pesante.
Per i genitori è importante avere a disposizione reti di supporto adeguate, a cominciare dal nido e dalla scuola materna. La scuola in generale ricopre sempre di più un ruolo di base sicura, che affianca e sostiene la famiglia nel carico di responsabilità e nella costruzione del percorso educativo.
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da patrizia mattioli | Mar 15, 2019 | Blog su Il Fatto Quotidiano

Ragazzi come Lorenzo, che si calano da un balcone per evadere un divieto, accidentalmente cadono e si fanno male, sono l’incubo degli insegnanti che li accompagnano in gita. Loro (gli insegnanti), si prendono una grande responsabilità verso i ragazzi, verso le loro famiglie, verso la scuola. Anche se hanno fatto tutto quello che potevano, vivono un comprensibile senso di responsabilità e di colpa quando accade qualcosa, che condizionerà il rapporto futuro con le gite, fino a tenerli lontani da successivi accompagnamenti.
Con la vicenda di Lorenzo viene di mano approvare o per lo meno interpretare in maniera diversa la decisione del Consiglio d’Istituto della Scuola Media Ferrari di Massa di selezionare gli studenti che avranno diritto di partecipare al viaggio di istruzione in base al voto di condotta, visti i pochi insegnanti accompagnatori disponibili rispetto agli studenti prenotati, e la necessità quindi di lasciare alcuni di loro a casa.
Le scuole in realtà hanno sempre adottato questo criterio di selezione per le gite, non per necessità di numeri, ma generalmente per punire gli studenti indisciplinati e prevenire i rischi a questi legati. Ma la decisione della scuola di Massa ha comunque scatenato molte polemiche e messo a confronto pareri discordi. C’è chi sostiene la decisione della scuola perché ritiene che la gita debba essere considerata alla stregua di un premio, un rinforzo ai comportamenti ritenuti adeguati, e vede la selezione come un segnale educativo forte verso gli indisciplinati, oltre che un criterio utile per diminuire i rischi di non riuscire a gestirli in gita. Dall’altro lato c’è chi sostiene che la gita non è un premio ma una parte importante della didattica, un momento di istruzione, di socializzazione e di insegnamento di vita fuori dall’ambiente scolastico, che si pone perciò al di là del merito e dovrebbe essere accessibile a tutti senza esclusioni.
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