Vita di coppia: la fatica della costruzione e del mantenimento

 

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Le più forti emozioni l’essere umano le prova mentre è impegnato nella costruzione, nel mantenimento o nella rottura di una relazione significativa. Lo diceva Bowlby un po’ di tempo fa. La vita di copia, le relazioni sentimentali confermano questa convinzione.

In una coppia è difficile costruire, ma soprattutto mantenere, una relazione stabile e soddisfacente che poggi su una forte intesa emotiva e che sia in grado di reggere le inevitabili prove (crisi) che le vicende di vita pongono.

Ci si incontra, ci si piace, si percepisce che può esserci intesa e si comincia la frequentazione, si attraversa una fase di “luna di miele” in cui l’altro è tutto, si vedono solo gli aspetti positivi, se ne immaginano tanti altri, a volte a ragione a volte no.

Ad un certo punto cade il velo e ci si comincia a conoscere o per lo meno si dovrebbe, si fanno i conti con la quotidianità, con le proprie sensibilità, con i propri automatismi, con le proprie fragilità. Qui si vede la difficoltà di ognuno di cogliere l’altro nella sua specificità.

Qualche discussione è inevitabile, può essere più o meno aperta. Qualche litigio è il segnale di una coppia vitale. Troppi o nessuno indicano coppie a rischio con un potenziale di sofferenza alto. Per non parlare delle coppie dove l’emotività espressa è molto alta, che sono quelle più a rischio di atti violenti.

Nella vita di coppia le discussioni sono un momento importante di conoscenza, ci si scontra per opinioni diverse su come affrontare un progetto, sui comportamenti consentiti e non consentiti, sull’educazione dei figli. Quello che spesso succede è che il contenuto della discussione passa in secondo piano e si discute di relazione. Più una relazione è sana e più la discussione è focalizzata sui contenuti, più è “malata” e più parlando di contenuti si discute invece del modo di stare insieme.

Nelle discussioni si è spesso convinti di reagire al comportamento dell’altro, senza rendersi conto di influenzarlo con la propria reazione. Ogni partner è in genere responsabile per metà del conflitto che si genera, per esempio se lui tende a chiudersi in se stesso e a non comunicare e lei invece tende ad arrabbiarsi e ad accusare o viceversa. Ognuno può attribuire all’altro la causa del suo comportamento senza mai arrivare a comprenderlo veramente: per lui chiudersi e non comunicare è determinato dagli atteggiamenti oppressivi di lei, mentre per lei questa è una grossolana storpiatura di quello che veramente succede e cioè che è la chiusura di lui che scatena la sue accuse.

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Crisi di coppia: il dolore della separazione

Lasciare e essere lasciatiimage

Giorgio e Adele si sono lasciati. Convivevano da sei anni, ma era già da un paio che le cose non andavano. Lei ha iniziato ad avere voglia di uscire, di vedere gli amici, di ritardare il momento di tornare a casa, più stava fuori e meno aveva voglia di tornare, alla fine se ne è dovuta rendere conto: la loro relazione si era esaurita. Lo dice a Giorgio, per lui andava tutto bene. La chiusura di una relazione è dolorosa, sia per chi la decide, che per chi la subisce, se è condivisa o se non lo è.

Spesso pensiamo che chi si lascia ha in qualche modo esaurito il sentimento, prendiamo le parti di uno o dell’altro, se sono amici o parenti o noi stessi, cerchiamo di attribuire colpe e responsabilità e non consideriamo che lo stare insieme è un percorso, l’amore è un percorso che si costruisce insieme, se si interrompe è perché uno o entrambi hanno smesso di costruire. Magari hanno smesso di comunicare da tempo, di mettersi al corrente di qualche delusione vissuta nel rapporto, di preoccuparsi del reciproco benessere e della reciproca serenità.

La distanza affettiva crea le condizioni per qualsiasi cosa. A volte un tradimento può servire a chiarirsi o essere un tentativo di compensazione della sofferenza, un tentativo di soluzione, per salvare la coppia. Chi si sente trascurato può cercare fuori dalla coppia un sostegno temporaneo che gli consente di reggere il momento critico per poi rientrare. A volte la sofferenza è andata troppo oltre e l’evasione prende la mano.

Nella chiusura i partner affrontano la stessa sofferenza: il dolore del distacco da chi è stato importante, da una relazione che un tempo era speciale, da quello che poteva essere e non è stato o non è più, il senso di fallimento per il progetto interrotto, il senso di vuoto per lo spazio che l’altro lascia, uno spazio reale, concreto e uno interiore, affettivo: l’altro, sia il lasciato che colui che lascia, ha rappresentato fino a quel momento la conferma della propria identità che ora deve essere cercata altrove, era egli stesso una parte di quell’identità che dovrà essere ricostruita.

Se chi lascia ha iniziato a costruire dentro di sé il distacco tanto tempo prima, senza aggiornare l’altro o magari anche senza rendersene conto, al momento della rottura i due si possono trovare in posizioni molto distanti: uno pronto per iniziare un’altra vita, l’altro in balia degli eventi.

Chi lascia può sentirsi in colpa e avere paura di essere considerato e/o doversi considerare cattivo, insensibile, inadeguato, perché non è più innamorato. Ma forse la sua vera responsabilità è quella di non aver informato l’altro del disagio che si vive da tempo, per via di quella difficoltà a parlare e di quell’idea che lui/lei non avrebbe capito.

Chi è lasciato può rimanere incredulo e sentirsi poi abbandonato, triste, disperato, arrabbiato, con il dubbio di doversi attribuire la colpa per la fine, di doverla attribuire a qualche aspetto essenziale di sé, di stimarsi meno. Forse l’unica responsabilità che ha è di aver perso il contatto.

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