Terrorismo: la violenza come affermazione di sé per gli adolescenti immigrati

afgano-2_6752-675x275Terrorismo e affermazione di sè

Nizza, Wurzburg, Monaco, Rouen, solo per citare i fatti più recenti, episodi di cui sono protagonisti immigrati di seconda o terza generazione con problematiche psichiche importanti. Si discute sul ruolo che possono avere le difficoltà di integrazione nella costruzione dei problemi e del comportamento deviante dell’immigrato, di quanto influisca il grado di accoglienza o rifiuto del paese ospitante.

Il rifiuto non è sempre presente nelle storie degli adolescenti immigrati e il disagio che vivono nei sentimenti di esclusione ed emarginazione a volte è il risultato di una percepita amplificazione di ciò che effettivamente accade, di un vissuto persecutorio di fronte ai comportamenti dei coetanei. A scuola ho conosciuto ragazzi, immigrati di seconda generazione, che vivono convinti che nessuno sia realmente interessato a loro, nonostante gli sforzi dei compagni di classe di coinvolgerli in attività comuni, e i tentativi degli insegnanti di scuoterli dal loro torpore e isolamento, di offrirsi come punti di riferimento o come interpreti con i loro stessi genitori con i quali spesso non condividono la lingua, per spiegare e sensibilizzarli al problema del figlio.

Gli insegnanti non fanno finta di niente, fanno quello che possono. Non dico che non ci sia qualcuno che si tira indietro, ma per la maggior parte non è così. La sospensione che vive l’adolescente immigrato gli impedisce di appartenere veramente sia alla cultura di origine che a quella di accoglienza e il senso di esclusione e non appartenenza che ne deriva è profondo. L’identità precaria crea uno stato di insicurezza e incertezza che rende difficile la costruzione di progetti personali e qualche volta anche solo avere un’idea di futuro.

La mancanza di prospettiva futura crea terreno fertile per progetti deliranti che offrano una qualche idea di realizzazione anche a costo della vita propria e altrui, vita che per altro sembra avere poco valore in queste condizioni, privilegiando l’idea di protagonismo. Il terrorismo non deve far altro poi che attribuirsi il fatto e approfittare di quanto accade per fortificarsi.

Si possono fare tante analisi degli ultimi eventi. Ognuno ritiene di maggiore rilievo una lettura dell’accaduto o un’altra: quella politica piuttosto che quella sociale, quella ideologica, religiosa o economica piuttosto che psicologica, come se questi fattori potessero essere separati. Evidentemente è la concomitanza di tutti a creare le condizioni per questi drammatici fatti. Nei casi più recenti il detonatore ultimo è sembrato quello psicologico: costruire un’immagine di sé di grande criminale come riscatto dei torti subiti – nel caso di Monaco-, incanalare la propria sofferenza, ormai divenuta follia, contro un ambiente esterno indifferenziato, nemico – come è accaduto a Nizza.

Tutto questo con il doppio (grottesco) “vantaggio” della delirante rivalsa, di cui non si riuscirà a vedere l’effetto, su un ambiente ritenuto ostile e rifiutante e dell’affermazione di un’identità frammentaria e inconsistente.

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Le problematiche scolastiche degli adolescenti immigrati

Le problematiche scolastiche degli adolescenti immigrati

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Quali sentimenti accompagnano gli adolescenti immigrati nei loro processi di integrazione?

Non Il fenomeno dell’immigrazione è in costante crescita nel nostro paese e la scuola superiore ormai accoglie immigrati di seconda generazione, ragazzi e ragazze figli di immigrati, nati in Italia o arrivati in Italia in tenera età. E’ facile imbattersi in ragazzi dai marcati tratti orientali o africani o sudamericani, che parlano con perfetto accento romano.

Accedono al Centro di Ascolto prevalentemente su pressione dagli insegnanti che vivono la difficoltà di aiutarli, come nel caso di Jian.

Jian ha 14 anni, ha concluso il primo anno di liceo, non è andato a vedere i quadri: è sicuro di non essere stato ammesso al secondo anno, ma non vuole vederlo scritto.

E’ nato a Roma ma i suoi genitori sono cinesi, a pochi mesi è stato mandato in Cina dai parenti perché i genitori, in Italia da molti anni, non potevano occuparsene, sono commercianti e lavorano entrambi tutto il giorno. Torna a Roma all’età di 6 anni.

Dopo qualche anno i genitori entrano in crisi, la casa diventa teatro di continui litigi in cui a volte il ragazzo è coinvolto, gli viene richiesto più o meno esplicitamente di schierarsi, ma Jian non sente nessuno dei due genitori come punto di riferimento: ha paura del padre che a volte alza le mani, e tiene a distanza la madre che quando litiga con il marito se la prende anche con Jian, non vuole nessuno dei due vicino.

Non ricorda molto del suo trascorso con i nonni, neanche il cinese, e non lo vuole imparare qui, i genitori parlano poco l’italiano, non hanno mai fatto niente per migliorarlo, se capitano discussioni ognuno parla nella lingua che conosce meglio.

Non è raro che adolescenti immigrati di seconda generazione ignorino la loro lingua madre e siano estranei, nello stesso tempo, al paese di origine e a quello di immigrazione.

Succede che l’adolescente immigrato vorrebbe integrarsi con la nuova cultura ma questo può provocare sentimenti di colpa per il desiderio di allontanarsi dalle tradizioni familiari e per il tradimento nei confronti dei genitori che hanno lasciato il loro paese, lavorano duramente per non far mancare nulla ai figli e cercano di mantenere le tradizioni culturali.

Per quanto riguarda Jian in verità lui si sente italiano, ma sente di non poter portare avanti questa identità e di non riuscire ad appartenere a nessun gruppo di italiani.

Jian ha brusche cadute dell’umore, frequenta la scuola in maniera discontinua, a volte è assente per giorni, non riesce a studiare e il suo rendimento scolastico lo conferma. Vorrebbe lasciare la scuola perché non sa per chi proseguirla, non ha un buon rapporto con i compagni, si sente ignorato, poco considerato, ha l’impressioni che gli altri non siano interessati a lui. Non condivide interessi con loro che di solito parlano di calcio, scuola e compiti, mentre lui è interessato ad altro. Evita di avvicinarsi per paura di essere respinto. Il sentimento di estraneità prevale. I compagni in verità non lo escludono, anzi vorrebbero coinvolgerlo, hanno provato più volte, l’aspettativa di Jian è massima e finisce che si esclude da solo.

Il suo percorso inizia in salita, con l’impossibilità di mantenere una continuità nella relazione di attaccamento, aspetto riconosciuto ormai come elemento di vulnerabilità del percorso evolutivo (Bowlby). Non poter costruire legami di attaccamento stabili nel primo periodo di vita esercita un ruolo sfavorevole sullo sviluppo della personalità. La consapevolezza di poter contare sulla protezione e il conforto della figura di attaccamento in caso di necessità, crea uno stato di sicurezza emotiva da cui è possibile partire per l’esplorazione del mondo esterno e del proprio mondo interno. Possiamo perciò immaginare quali conseguenze può avere il mancato consolidamento di un legame di attaccamento. Jian è stato qualche mese con i genitori, poi è stato mandato in Cina, e si ricongiunge con loro quando ormai è passato troppo tempo per ricostruire il vecchio legame, un attaccamento sostitutivo era stato probabilmente ricostruito con i parenti con cui ha vissuto nei primi anni e da cui è stato separato. Ha perciò dovuto affrontare due passaggi importanti. I suoi genitori, poi, sono tutt’altro che stabili, date le pressanti problematiche lavorative ed economiche, quando non di coppia, che devono quotidianamente affrontare.

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