Ludopatia, gli italiani spendono più di 100 miliardi nel gioco d’azzardo. Quando una crisi diventa sintomo

Ludopatia, gli italiani spendono più di 100 miliardi nel gioco d’azzardo. Quando una crisi diventa sintomo

La ludopatia, come altre forme di dipendenza (web addiction, droga, alcol) è un problema sociale che ha sul piano psicologico individuale la funzione apparente di risolvere le problematiche emotive dell’individuo che ne soffre. Mentre gioca (o si droga, o beve, o naviga compulsivamente in Internet), egli ha l’impressione di liberarsi dalle tensioni che lo affliggono nella quotidianità. Per la durata del gioco sembrano sospesi tutti i problemi. La persona ha l’illusione di sfuggire al proprio malessere di fondo, senza rendersi conto che il suo stato d’animo alla fine del comportamento di gioco (o di assunzione di droghe, o di alcol), è lo stesso se non peggiore, di quello che lo precedeva e che il gioco riesce solo a distrarre per un istante effimero dalle questioni di fondo. Allo stesso modo il giocatore non si rende conto che i comportamenti compulsivi a cui si lascia andare, lo porteranno gradualmente proprio verso quei vissuti che cerca da sempre di evitare.

In un oscillare continuo tra illusione e delusione, egli si trova sempre più spesso a scegliere il gioco per evadere dalla quotidianità e perseguire obiettivi sempre più improbabili. Le vincite che in quanto rare e casuali non permettono di fare previsioni, stimolano quello stato di eccitazione che egli cerca continuamente di riprodurre. Sappiamo, infatti, che il rinforzo a un comportamento non è quello puntuale che segue ogni azione corretta ma quello intermittente, casuale, perché l’illusione di una vincita costituisce da sola un rinforzo, anche se la vincita poi non avviene. Chi gioca (o si droga, o beve) tende a ingannare e a ingannarsi, mentendo a se stesso e a chi gli sta intorno, rispetto al proprio comportamento disfunzionale e a ciò che lo sostiene, spesso sentimenti di fallimento reale o vissuto, rispetto ai importanti questioni personali.

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Gioco d’azzardo: la storia di Daniel

Gioco d’azzardo: la storia di Daniel

img_1051Quando un giocatore vince

Ricevo questa testimonianza e volentieri pubblico.

“Mi chiamo Daniel B. ho 41 anni e per 24 anni sono stato una di quelle persone che probabilmente avrete visto di spalle dentro una tabaccheria o un bar, un’edicola, di cui, legittimamente, avrete pensato “poveretto“. Una di quelle persone, tra tante, tra troppe, che hanno buttato una vita nelle slot, nei gratta e vinci, nelle scommesse online, nel 10 e lotto….

Non è un caso che, sopratutto nei luoghi pubblici, le slot siano messe dov’è difficile vederle. Perché il gestore del locale sa benissimo che non è una pratica edificante pagare l’affitto con la busta paga di un giocatore, e il giocatore pretende di non essere visto, e sopratutto pretende di essere solo.

Un giocatore patologico costruisce intorno a sé il vuoto, dove nessuno deve entrare, dove i problemi non esistono, dove perdere tutto crea la vana speranza di rivincere tutto. Ma io ho imparato che un giocatore patologico è semplicemente un masochista che magari inizia per non riconoscere colpe altrui (una mamma troppo amorevole, un padre assente, un’infanzia negata o prolungata, motivi che non sgravano la responsabilità, ma che vanno considerati) e che in un attimo entra in un vortice di sensi di colpa, che paradossalmente lo porta a giocare per punirsi.

Fateci caso, un giocatore non sorride mai, neanche quando vince perché il pensiero torna al motivo che lo ha portato a giocare, e non sarà di certo il bonus di una slot a cambiare le cose. Un giocatore non sorride mai, questo penso sia veramente lo “slogan”. Quando un giocatore patologico esce dal suo percorso di distruzione, è quasi sempre troppo tardi per avere aiuto, tardi per avere l’affetto che si è giocato. Io, per esempio, sono 5 anni che non vedo mio figlio, che lo spio, che lo vedo crescere senza di me.

È quello che devo pagare per il male che ho fatto, non volendo, a me stesso e a chi mi era vicino. Ma sono convinto che all’interno di una vita esistano tante vite da vivere: non saremo perdonati per la vita che abbiamo distrutto ma abbiamo il dovere di mettere quello che è stato nel nostro passato, farci i conti, combatterlo, e vincere. Ci sono tanti modi per farlo, a me è stato di grande aiuto entrare nel modulo Orthos, un programma residenziale di 21 giorni che ovviamente non sono bastati a risolvere, ma mi hanno fatto vedere il problema con occhi diversi.

In una terapia di gruppo, dopo anni di gioco/solitudine, il gioco è fonte di scambio. Uno scambio duro, triste, potente ma sincero, tra persone che hanno deciso di cambiare, in un ambiente che non ti giudica per quello che hai fatto. Le storie sono simili. Non cancellano i danni fatti, ma costituiscono una punto di partenza, perché si crea quella solidarietà che soltanto chi ha perso una guerra conosce, trovando compagni pronti a ricostruire.

Io ho affrontato i miei problemi, ho accusato me stesso, ho accusato chi mi ha fatto male, ho pianto per il male che ho fatto. Mi sono reso vulnerabile per rendermi sincero come forse mai lo sono stato. Un giocatore è per natura bugiardo e le bugie più importanti le dice a se stesso.

Sa che non vincerà, ma si dice che vincerà. Sa che sta distruggendo, ma è convinto che sistemerà tutto. In quei 21 giorni fai i conti con la tua sincerità. Su quanto ti costa. Su come non la sai più riconoscere. Su come sia la chiave piccola di una porta enorme. Il gioco, in un giocatore patologico sarà sempre una componente e il segreto è ricordare sempre cosa ci ha causato. Il mio rischio oggi è riconquistare mio figlio, questo sì che è una vincita da rincorrere.

Oggi so di essere una persona migliore, che continua a sorridere poco, ma che ha smesso di piangere per ciò che ha commesso. Oggi piango gli affetti che ho perso, ma ho preso la mia vita e le ho detto rimbocchiamoci le maniche, dobbiamo provarci. Alla mia età è difficile fare progetti, ma qualsiasi età è adatta per migliorare dentro.

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Gioco d’azzardo, una vita svuotata di contenuti

Gioco d’azzardo, una vita svuotata di contenuti

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Qual’è il significato del comportamento ludopatico?

Michele deve interrompere il corso di nuoto, forse anche quello di francese che lo aiuterebbe per l’esame di maturità: i suoi non hanno più soldi. Suo padre non ha perso il lavoro, è che ha iniziato a spendere parte del suo stipendio nelle slot machine della sala giochi sotto casa. Sua madre, casalinga, non ha uno stipendio, nel tentativo di controllare il marito e distoglierlo dal gioco, è rimasta invischiata anche lei.

Il gioco d’azzardo patologico è un problema che ha ripercussioni importanti sulla famiglia del giocatore e sulla comunità. Si gioca per le motivazioni più varie: per vincere denaro e migliorare la condizione sociale, per noia, per solitudine, per sperimentare stati di eccitazione, per scarsa autostima.

Tutti vorremmo migliorare la condizione economica investendo poco denaro: minimo impegno massimo rendimento. Per la maggior parte ci rendiamo conto che non diventeremo mai ricchi con il gioco, ma la possibilità di sognare che questo possa avvenire ha un potenziale positivo che per qualcuno è ammaliante. L’illusione di un guadagno facile distoglie dalla consapevolezza di una molto più probabile perdita, visto che nelle lotterie, nei gratta e vinci, nei poker online, ecc… il risultato è determinato dal caso e le probabilità di vincere sono praticamente nulle.

Il gioco d’azzardo elargisce vincite di rado e a casaccio, senza possibilità di previsione, procurando uno stato di eccitazione che il giocatore cerca continuamente di riprodurre. E’ noto che il rinforzo più efficace non è quello successivo a ogni atto corretto, ma è piuttosto quello intermittente: l’aspettativa del premio, anche quando non viene elargito, costituisce essa stessa un rinforzo. Nell’attesa del risultato chi gioca può immaginarsi, e sentirsi, ricco e potente, avere un’illusione di controllo sulla casualità e compensare altri sentimenti negativi che prova quotidianamente. Egli mente ai membri della famiglia, allo psicoterapeuta se ne ha uno, agli altri. Mente soprattutto a se stesso per nascondere l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco e la portata del proprio fallimento, aspetto questo che si concretizza nel gioco ma ha origini in altre aree della vita. Il problema non è il gioco in sé, ma quello che c’è dietro, quello che lo sostiene sul piano personale.

La storia del comportamento ludopatico aiuta a ricostruire un significato, a dare una coerenza per poter immaginare una soluzione.

I genitori di Michele non sono genitori cattivi, sono genitori che si sono persi. Annebbiati dall’illusione di un futuro più ricco, non si rendono conto di perdere di vista il rapporto con i figli, il loro benessere. Sono oppressi dalle responsabilità della famiglia attuale e anche di quella di origine visto che i rispettivi genitori sono malati. Sono partner che hanno smesso di comunicare da diverso tempo, la cui reciprocità di coppia si è ridotta alla risoluzione delle problematiche quotidiane o alla condivisione dell’area del gioco, sono perciò soli.

Il gioco permette di evadere dalla propria vita e crea condizioni che portano ulteriormente lontani da se stessi.

In periodi di crisi economica il mercato del gioco d’azzardo aumenta proprio perché permette di immaginare futuri ideali a chi ha pochi strumenti a disposizione.

Il Comune di Roma ha varato una delibera che limita il tempo e lo spazio in cui è possibile giocare: 500 metri la distanza minima dai luoghi “sensibili” come ad esempio scuole, centri sportivi, chiese, caserme e sportelli bancomat, orari d’esercizio più restrittivi, inasprimento delle sanzioni per chi non rispetta le restrizioni.

Questo è un passo concreto, importante, utile.

 

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