Aiutiamo le vittime a svegliarsi dalla dipendenza affettiva: un modo per prevenire i femminicidi

Aiutiamo le vittime a svegliarsi dalla dipendenza affettiva: un modo per prevenire i femminicidi


Marisa Leo
è stata uccisa dall’ex fidanzato che doveva incontrare per un incontro chiarificatore.

Non bisogna andare agli ultimi appuntamenti, ma le future vittime già lo sanno e spesso il problema è che non riescono a tirarsi indietro. Nulla garantisce che, mancato uno, non ce ne saranno altri, perché accettare l’ultimo appuntamento è la prova inconfutabile che quel legame non è per niente risolto emotivamente. Alle segnalazioni e denunce della vittima, non corrisponde un cambiamento interno, emotivo nei confronti del partner maltrattante. Ed è su questo che va indirizzato il lavoro di aiuto.

Sono d’accordo con chi afferma che per risolvere i problemi che possono portare al femminicidio si deve lavorare per il risveglio della vittima, oltre che mettere in campo tutte le risorse necessarie a proteggerla e tutelarla da rischi futuri (L. Pigozzi). Molti interventi, peraltro importantissimi, fatti contro la violenza non modificanolo stato di dipendenza affettiva. In tali condizioni la vittima non è in grado di mantenere autonomamente la distanza di sicurezza dal suo carnefice, distanza che rimane gestita dall’esterno. Nessun servizio di protezione riuscirebbe mai a proteggere una potenziale vittima 24 ore su 24 e soprattutto da se stessa.

Molti interventi dunque non aiutano la vittima a capire qual è la difficoltà di uscire dalla condizione stessa di vittima, dallo stato di fragilità e dipendenza affettiva in cui si trova. Si dà per scontato che voglia uscire dalla relazione tossica, e sicuramente nei momenti acuti è così, e che sia il partner a impedirglielo. Questo è vero solo in parte. Il bisogno di controllo o di potere o di qualsiasi altra cosa da parte del partner va ad incontrarsi con bisogni emotivi non risolti della vittima, bisogni e insicurezze che possono far parte del suo modo di essere e quindi già presenti quando incontra il partner tossico o essere indotti gradualmente dalla tossicità della relazione.

Perché è così difficile uscire dalla dipendenza affettiva?

Le persone dipendenti e passive tendono a minimizzare i torti subiti. Una persona maltrattata mantiene il rapporto di dipendenza dal partner perché ha il senso di non potersela cavare senza di lui o di lei e per questo deve minimizzare il suo aspetto tossico. I meccanismi di autoinganno del cervello che lavorano per la stabilità che continuamente ricerchiamo, oltre che per il mantenimento di un senso positivo di sé, rendono difficile a volte riconoscere la tossicità di un rapporto come anche accettare l’idea di essersi sbagliate e aver scambiato un rospo per un principe.

Le persone, le donne maltrattate hanno spesso qualcosa che l’altro non ha. Una mia paziente, in buone condizioni economiche, si era legata a un partner meno abbiente ma con smanie di ricchezza, che pensava di raggiungere attraverso comportamenti delinquenziali. Lui mal sopportava la disparità economica che era motivo di maltrattamento verbale e fisico, al punto che per lei era diventato un problema essere benestante. Il modo possessivo e aggressivo di lui veniva comunque scambiato per amore e la brutalità quasi ricercata e vissuta come aspetto protettivo. Come diceva Bowlby, psichiatra e psicoanalista inglese, una caratteristica importante dei legami di attaccamento è la loro resistenza anche di fronte a maltrattamenti e punizioni perché un fattore stressante (il maltrattamento appunto) stimola il comportamento di attaccamento, anche se a fornirlo è la stessa figura che offre protezione.

leggi tutto il post su Il Fatto Quotidiano

Perché il ceffone non serve a insegnare ai maschi il rispetto per le donne

Perché il ceffone non serve a insegnare ai maschi il rispetto per le donne

 

È in parte condivisibile la dichiarazione del presidente del Senato, Ignazio La Russa, in cui dice che il femminicidio non è un problema femminile ma maschile, anche se io direi che è maschile e femminile: nessuna delle due parti può pensare di risolverlo da sola visto che è la dinamica relazionale che si crea tra i due partner a costruire l’escalation che porta alla violenza

È condivisibile in pieno invece l’affermazione che il rispetto si apprende in famiglia o almeno primariamente in famiglia, ma poi anche a scuola e successivamente sul lavoro: è importante che i ragazzi conoscano il rispetto all’interno delle mura domestiche, che lo sperimentino di persona e soprattutto che lo vedano realizzato nella relazione tra i loro genitori. Non è invece condivisibile l’idea che si possa poi gestire il comportamento non rispettoso da parte dei ragazzi nei confronti delle donne attraverso gli schiaffi, cioè attraverso altra forma di violenza.

Se a un comportamento violento e non rispettoso si risponde con comportamento altrettanto violento che invade lo spazio personale, questo è altrettanto non rispettoso e rischia di avere un effetto iatrogeno (cioè indotta dalla terapia, ndr) e stimolare ulteriore violenza.

Non è attraverso la coercizione e la sopraffazione che si può insegnare il rispetto per le persone perché sono concetti incompatibili, il rispetto non è qualcosa che si può imporre ma qualcosa che si apprende per esperienza e per modello.

leggi tutto il post su Il Fatto Quotidiano

Sara Di  Pietrantonio, perché siamo attratti da persone sbagliate

Sara Di Pietrantonio, perché siamo attratti da persone sbagliate

Sara Di Pietrantonio, perché siamo attratti dalle persone sbagliate

imageÈ l’incubo di ogni genitore aspettare il ritorno del proprio figlio la notte per poi sapere che non tornerà più. In questi casi anche beffato dal destino: Sara aveva avvertito la mamma che stava tornando a casa, non voleva farla preoccupare e invece non è più tornata.

Ci vuole tanta forza per andare avanti. Perdere un figlio è peggio che morire, è venire meno alle leggi della natura, è capovolgere le cose, è sopravvivere senza meritarselo.

Come è accaduto? Una ragazza carina, con tante passioni, che forse ha scelto male il suo partner di cui deve aver sottovalutato il temperamento. Probabilmente era arrivato a farle paura.

Grazia Attili (Professore Ordinario di Psicologia Sociale presso la Sapienza di Roma) dice che siamo attratti da persone che inconsapevolmente valutiamo come potenziali buoni compagni e buoni genitori e questo fa scattare l’attrazione, ma se sul piano affettivo c’è un bisogno perché non ci sentiamo o non siamo stati sufficientemente amati o coccolati, nella scelta del partner ci sbagliamo e scegliamo le persone non perché sono giuste per noi, ma perché sembrano compensare quella mancanza e si fa meno attenzione al resto. Probabilmente è così che ci si innamora di persone sbagliate, probabilmente è così che Sara si è innamorata di Vincenzo.

La rigidità di lui deve esserle sembrata all’inizio protezione, poi è diventata controllo, possesso e la vita un inferno. Forse è andata così. Forse anche per Vincenzo che era la persona sbagliata.Leggiamo che tra Sara e Vincenzo le liti erano tante e sempre più frequenti, che lui la seguiva, si appostava fuori dall’Università, faceva scenate se lei voleva uscire con le amiche, era geloso, ossessivo e possessivo. Forse dopo la reazione di qualche mese prima Sara aveva capito che doveva allontanarsi da lui e sicuramente anche che lui non si sarebbe arreso facilmente. Magari un’altra relazione la poteva aiutare ad affrontarlo, a tenergli testa. I giornali riportano che Sara aveva conosciuto, o ritrovato, Alessandro con cui stava costruendo una affettuosa amicizia. «Non era ancora una storia vera, ma stava iniziando». E’ questa nuova vita di Sara che probabilmente ha innescato il progetto malato di Vincenzo: saperla con un altro deve avergli dato il senso netto che tra loro fosse davvero finita, che non l’avrebbe più avuta per sé.

leggi tutto il post su Il Fatto Quotidiano