da patrizia mattioli | Mag 8, 2014 | Blog su Il Fatto Quotidiano
Crisi economica: è possibile rendere costruttivo un momento drammatico?
Perdere il lavoro è un problema sul piano economico, ma non solo, perché il lavoro è uno dei pilastri dell’identità personale.
Trovarsi disoccupati comporta una perdita di definizione, di potere, di punti di riferimento.
Ho parlato di lavoratori autonomi, di imprenditori e di quanto possano influire lo stato d’animo e le vicende personali nello sviluppo di una crisi lavorativa, nel lavoro autonomo e imprenditoriale.
È diverso per chi ha un lavoro dipendente e non c’entra nelle decisioni aziendali di licenziare, anche se alcuni atteggiamenti personali possono avere il loro peso, tra un lavoratore ritardatario e uno puntuale potrebbe essere facile per l’azienda scegliere.
È diverso perdere il lavoro a 30, 40 o 50 anni. È diverso perderlo quando si vive ancora in famiglia, o se si ha una famiglia propria, quando ci sono figli o altre responsabilità a carico, per esempio un mutuo o altro.
È diverso se si considera la perdita come il risultato di fattori esterni (le decisioni dell’azienda, la crisi economica, la sfortuna) o di fattori interni (la capacità e adeguatezza personali e/o altri fattori insiti nella propria natura). Nel primo caso magari prevalgono sentimenti di rabbia, di ingiustizia, di rivalsa, con una maggiore stabilità nell’autostima e scarse percepite possibilità di assumere un ruolo attivo nel recupero. Nel secondo caso possono prevalere sentimenti di fallimento, di incapacità e indeguatezza personali, con una flessione nel sentimento di autostima, ma con maggiori possibilità di recuperare il controllo della situazione (se il problema è interno c’è la possibilità di intervenire).
Un giusto rapporto tra questi due poli, cioè un’attribuzione equilibrata di responsabilità sarebbe auspicabile.
Ma soprattutto può fare la differenza il significato che si attribuisce all’evento: se solo quello di un problema da risolvere o anche quello di un’opportunità da cogliere.
Ho già detto che perdere il lavoro significa perdere anche un sostegno importante dell’identità personale, perciò è importante trovare velocemente un sostegno sostitutivo: una prospettiva, un percorso da intraprendere, un progetto da inventare.
Ci sono attività che nascono proprio in seguito alla perdita del lavoro e nonostante la crisi.
Chi si ritrova disoccupato può ritirarsi dalla scena per un po’, per lo meno emotivamente, per un po’ lasciarsi andare alla disperazione – una reazione iniziale è comprensibile e necessaria per “ammortizzare il colpo” per elaborare quanto è accaduto – e poi provare a recuperare e magari avere una buona idea, coinvolgere altri o essere coinvolto da loro.
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da patrizia mattioli | Apr 22, 2014 | Blog su Il Fatto Quotidiano
La crisi economica può essere anche una sfaccettatura di una crisi personale?
La crisi economica è il risultato di una crisi personale. Quando si parla del rapporto tra crisi economica ed equilibrio personale, si fa riferimento in genere alle conseguenze della recessione sullo stato d’animo delle persone e mai al contrario, a quanto cioè la crisi economica personale possa essere in relazione o addirittura conseguenza, della crisi psicologica della persona: crisi di strumenti, di intenzioni, di obiettivi, di scenari futuri o altro. La crisi economica sarebbe allora soltanto un sintomo, cioè la rappresentazione concreta di un problema che ha altre origini.
Chi si trova a chiudere l’attività, insieme alle difficoltà economiche si trova a gestire anche l’esplosione di tanti stati emotivi: il senso di fallimento, di incapacità, di inadeguatezza, di indegnità, di colpa e l’impressione di essere continuamente esposto ai giudizi e alle critiche degli altri.
L’elaborazione di questi stati d’animo è importante, a prescindere dalla risoluzione economica, per favorire il recupero e la ripresa dei progetti professionali e personali. In questo percorso è utile fare un salto indietro e chiedersi: come ci si è arrivati? In che momento si era – professionale, familiare, sentimentale…. – prima della crisi?
Le risposte alla prima domanda possono essere tante, passando dalle più dirette responsabilità personali, alle situazioni più legate a fattori esterni, a quelle più francamente sfortunate.
Qui voglio solo focalizzare il caso in cui la responsabilità personale ha il suo peso, caso più difficile da affrontare ma che offre maggiori possibilità di recupero.
Dunque come si è arrivati allo stallo della propria attività? Dove si è sbagliato? Quali esigenze personali hanno pesato?
Mettiamo il caso di un libero professionista che inizia a lavorare in uno studio associato o di un imprenditore che mette in piedi una piccola società con altri. Sono strade che hanno percorsi quasi obbligati, fatto un certo percorso insieme si tende poi all’autonomia: il professionista cercherà uno studio autonomo, l’imprenditore liquiderà i soci. Entrambi si troveranno ad affrontare impegni più seri, sia economici che non, e potranno entrare in crisi per le responsabilità, per l’esposizione, per l’autonomia, per la solitudine che questo passaggio comporta. Contemporaneamente magari sarà nato un figlio, o si sarà concretizzata una separazione coniugale, o sarà avvenuta una perdita….
I due potrebbero cominciare a zoppicare nelle decisioni o a fare scelte più mirate a diminuire le responsabilità, l’esposizione, l’autonomia, la solitudine, cioè più orientate a controllare e gestire gli stati interni, che a far funzionare e sviluppare il lavoro. L’attività perciò non avrà più la giusta spinta, entrerà in una spirale involutiva, si rallenterò, si fermerà. Altri fattori avranno poi il loro peso.
Valutare le cose dal punto di vista psicologico significa che per i nostri due professionisti diventa importante prendere consapevolezza dei vissuti interiori, del personale modo di funzionare, e di quanto questi incidano sulle decisioni prese o da prendere e regolarsi di conseguenza.
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