40 anni di emoji: non sempre raggiungono l’obiettivo ma diminuiscono i rischi

40 anni di emoji: non sempre raggiungono l’obiettivo ma diminuiscono i rischi

 

40 anni di emoji per migliorare la comunicazione virtuale. Comunicare è quasi un’arte. Inviare messaggi che vengano interpretati da chi li riceve con il significato di chi li invia è un’impresa non da poco. Se il rischio di incomprensioni e fraintendimenti è insito in ogni comunicazione umana, è certamente più alto nella comunicazione testuale, dove la componente non verbale è quasi assente. Il piano non verbale con le espressioni del viso, il tono di voce, le pause e tutto il resto, trasmette infatti informazioni essenziali su come intendere il messaggio che si riceve. Per questo sono nate le forme grafiche e i simboli che utilizziamo nei messaggi online.

L’emoticon, l’antenata delle attuali faccine sorridenti, creata per caso da un docente di informatica con due caratteri speciali della tastiera :), compie 40 anni. Un lungo periodo in cui ha dimostrato la sua utilità nell’indicare il senso da dare a un contenuto, tanto da evolversi nelle sue forme più attuali: gli emoji, veri e propri pittogrammi di facce, oggetti, animali, simboli e tanto altro. Un supporto rilevante all’obiettivo di diminuire il più possibile i rischi di fraintendimenti nella messaggistica online, fatta appunto soprattutto di testo.

Mi è capitato recentemente di esprimere, in un messaggio (senza faccine), una perplessità a una collega su una sua proposta. La perplessità è stata interpretata come una contestazione personale e ha stimolato una reazione inaspettata che ci ha portato lontano dal tema oggetto del messaggio. Gli emoji non sempre raggiungono l’obiettivo ma magari avrebbero attenuano la lettura più personale.

Sappiamo che ogni essere umano, grazie a schemi operativi interni che matura a partire dalla nascita – in base allo stile di attaccamento e all’atmosfera familiare che sperimenta – ha un suo modo di interpretare le cose che gli accadono, un modo personale di ricavare dai messaggi a cui è esposto: chi è lui, come viene visto dagli altri, cosa può aspettarsi da loro.

In mancanza di informazioni precise da parte dell’interlocutore, ognuno tende automaticamente ad attribuire significati in base ai propri schemi, alle proprie aspettative e alle proprie convinzioni e prevenzioni più personali. E’ perciò molto facile incorrere nell’incomprensione, lo sperimentiamo quotidianamente, proprio nelle relazioni che consideriamo significative, quelle che ci coinvolgono di più, relazioni familiari, relazioni sentimentali, di amicizia…………

leggi tutto il post su  Il Fatto Quotidiano