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Magritte

Se non si trova o si perde il lavoro  è meglio dare la colpa a cause esterne o  attribuirsene la responsabilità?

Il lavoro è uno dei fondamenti dell’equilibrio psichico personale.

Avere un lavoro stabile, signifca avere delle sicurezze, poter costruire un progetto: una famiglia una casa. Significa   poter produrre scenari per il futuro.

Perdere il lavoro o non riuscire a trovarlo genera insicurezze ben al di là delle difficoltà economiche. Sul piano psicologico va a minare le fondamenta del proprio senso di sè, della propria identità personale.

Chi non riesce a trovare lavoro, non ha la possibilità di mettersi alla prova, non è in grado di costruire un senso di sè più  articolato rispetto alle proprie capacità personali, ha difficoltà a vedere il proprio futuro.

Per chi il lavoro lo perde e non riesce a ricostruire una dimensione lavorativa entro breve, il futuro si ferma. Anche se ha costriuito nel tempo una solida identità professionale, corre lo stesso rischio di chi non ha mai lavorato: entrare nel dubbio fondamentale rispetto a se stesso e alle proprie competenze: di essere/non essere più capace di lavorare, di essere/non essere più utile alla società, alla famiglia, di non avere più un senso e un ruolo,. E’ una situazione che si verifica qualche volta anche dopo il pensionamento, soprattutto se è anticipato e viene subìto o se non si sono costruite alternative al lavoro prima di andare in pensione.

Il senso di sè di chi è, o è diventato disoccupato, non è o non è più sostenuto dalle relazioni esterne  (dai colleghi, dal capo, dall’esercizio delle proprie mansioni)). Quindi manca di tutta una serie di conferme esterne, con conseguenze sul piano emotivo/affettivo.

E’ importante cogliere il vissuto negativo che ne può derivare, in termini costruttivi,come spinta a fare e non al contrario.

Fa la differenza come ci si spiega quello che accade.

Chi lo attribuisce a se stesso, a qualche propria mancanza o inadeguatezza (“non lavoro perchè sono un incapace,  …perchè non sono abbastanza bravo,…”),  mette in discussione se stesso  e mantiene stabile il mondo’esterno.  Magari tende a chiudersi, a limitare i contatti con gli altri anche per  le difficoltà economiche. L’isolamento può essere  un importante momento di recupero.

Attribuirsi le responsabilità rappresenta anche un tentativo di riprendere il controllo della situazione: significa implicitamente riconoscersi la possibilità di cambiare di trovare una soluzione: “se lo si è generato, lo si può risolvere”purchè si preveda di poter migliorare la propria presunta mancanza.

Per chi lo  attribuisce all’esterno (“non lavoro perchè non mi viene data la possibilità,..perchè non mi viene riconosciuto il diritto,…, perchè non ci sono opportunità,..”)), il proprio senso di competenza personale non ne risulta toccato, ma  si perde il senso di poter influire sugli eventi- Possono  prevalere  sentimenti di impotenza o di ingiustizia. Anche questo atteggiamento  però può essere considerato come tentativo di  riprendere il controllo. Se la responsabilità è del mondo esterno, basta cambiare contesto per recuperare.

Attribuzioni totalmente interne o totalmente esterne non sono in grado di spiegare adeguatamente un fenomeno che è evidentemente il risultato della complessa interazione tra i due modi di vedere le cose.

In ultima analisi però attribuire  responsabilità a sè o agli altri non ha importanza, purchè si colga l’aspetto generativo di entrambi gli atteggiamenti.