La psicoterapia rispetta i criteri bioetici?
La psicoterapia si muove all’interno di criteri bioetici? Cercherò di rispondere a questa domanda o meglio cercherò di convincerrvi del fatto che:”.. sì la psicoterapia rispetta i criteri bioetici..” forse alcune psicoterapie lo fanno più di altre, ma in generale direi sicuramente sì.
Faccio qualche premessa, definiamo innanzitutto il concetto di psicoterapia.
La psicoterapia è un trattamento terapeutico basato sull’utilizzo di metodi psicologici prevalentemente verbali (il colloquio), ma anche non verbali, per la cura o il miglioramento della sofferenza psichica. E’ un processo interpersonale in cui si stabilisce un rapporto di confidenza e fiducia tra psicoterapeuta e paziente, condizione principale per il buon esito di una terapia.
Lo scopo della psicoterapia viene concordato all’inizio e può andare dalla risoluzione di un sintomo o il raggiungimento di un obiettivo, ad un cambiamento più profondo nella struttura di personalità. Le strategie e le tecniche attraverso le quali si ottengono i miglioramenti o le guarigioni sono diverse a seconda del tipo di orientamento teorico a cui appartiene quel determinato psicoterapeuta. Esistono psicoterapie a orientamento psicoanalitico, comportamentale, cognitivo, relazionale, etc… per citare le più conosciute.
La psicoterapia può essere individuale, di coppia, familiare o di gruppo.
Detto questo possiamo passare ad analizzare una specifica prospettiva teorica di riferimento che secondo me è quella che più di altre rispetta i criteri bioetici che è la prospettiva cognitiva post razionalista.
La prospettiva cognitiva post razionalista considera l’individuo all’interno del suo contesto sociale con il proprio modo di essere all’interno di una complessa rete di relazioni. La comunicazione viene considerata come l’espressione della reciprocità emotiva che si viene a creare tra i protagonisti nel determinato momento in cui la comunicazione stessa avviene.
Facciamo un’altra premessa: è opinione comune che esista una realtà unica e oggettiva con un suo ordine e un suo significato e che sia possibile osservarla dall’esterno in modo imparziale e univoco. L’immediata conseguenza di questo è che se solo volessimo, potremmo tutti arrivare ad una comprensione comune e oggettiva delle cose e degli avvenimenti e che se questo non accade è solo per una incapacità personale ad essere obiettivi.
Risulta invece sempre più evidente, per altro grazie a studi convergenti da discipline molto diveerse tra loro, che non si può parlare di conoscenza della realtà in senso assoluto e imparziale ma che la conoscenza è sempre in relazione al soggetto che conosce.
La realtà non si può configurare allora come un’entità univoca esistente in sé, ma come un insieme di processi conoscitivi su di essa (uno per ogni individuo e ognuno valido e irriducibile), che continuamente si incontrano e si articolano.
Ogni processo di conoscenza della realtà aiuta a conoscere perciò: non già le particolarità dell’oggetto o del fatto percepito, ma le caratteristiche e il punto di vista della persona che la esprime.
Immaginiamoci per esempio due persone che hanno un contrasto, ognuna di loro racconterà il fatto secondo il proprio punto di vista, probabilmente diverso uno dall’altro e nessuno dei due corrisponderà alla verità, ma solo al personale vissuto rispetto ad essa. Anche un eventuale osservatore esterno non potrà che fare una lettura personale dell’episodio osservato.
Qualsiasi conoscenza ed esperienza è dunque sempre il risultato di una elaborazione personale e perciò prevalentemente soggettiva. Il fatto curioso è che invece, quando comunichiamo, quasi sempre o per lo meno molto spesso presupponiamo tacitamente che chi ci sta di fronte sia come noi, e che interpreterà come noi il messaggio che gli stiamo trasmettendo. Ci meravigliamo poi quando ci rendiamo conto per esempio di essere stati fraintesi.
Poiché non esiste un ordine esterno predefinito, ogni individuo deve evidentemente fare riferimento ad un proprio ordine interno personale, a quella che noi cognitivisti chiamiamo organizzazione di significato personale. E’ quella organizzazione che permette di costruire e mantenere stabile nel tempo il proprio senso di sé (cioè l’immagine consapevole di sé, il proprio senso di identità personale), e di selezionare volta per volta e dare maggior rilievo nel nostro vivere quotidiano a quelle esperienze e a quelle relazioni che meglio ci permettono di mantenere questa stabilità interiore.
L’organizzazione di significato personale si costruisce su un nucleo di significati personali che è caratteristico per ogni individuo. Esso si articola e si costruisce all’interno delle relazioni sociali significative durante tutto l’arco della vita. Relazioni che sono dapprima rappresentate dal rapporto con i genitori, poi con altri adulti, i coetanei, il partner. Il significato personale è inizialmente finalizzato a mantenere stabile il rapporto di attaccamento con il genitore: il bambino percepirà come meglio appartenenti a sé, quegli atteggiamenti e quei tratti che più di altri gli consentiranno di ottenere la vicinanza e la protettività di quel genitore (se per esempio un bambino ha il senso che la sua figura di attaccamento è più disponibile se lui non fa richieste di accudimento, tenderà a privilegiare atteggiamenti di autonomia affettiva). Solo più tardi con la riorganizzazione adolescenziale tali tratti si struttureranno in una specifica organizzazione di significato personale attraverso la quale selezionare e ordinare le esperienze.
Per Vittorio Guidano,l padre fondatore dell’approccio post razionalista l’uomo è essenzialmente un sistema chiuso che vive all’interno di una realtà del tutto personale di cui una parte importante è costituita dal proprio senso di identità personale cioè le strutture di significato personale sono più orientate a mantenere la propria stabilità interna che a costruire una mappa dettagliata della realtà. Questo lavoro deve risolvere due esigenze: rendere coerenti le rappresentazioni mentali con l’esperienza emotiva (mi considero bravo e mi ci sento) e mantenere il più possibile stabile il proprio senso di identità personale. Quando questo non avviene perché a livello inconsapevole si verificano oscillazioni emotive particolarmente intense da non poter essere integrate sul piano consapevole di sé (mi considero o mi voglio considerare bravo ma mi sento un incapace), può accadere che queste vengano negate e percepite come qualcosa di estraneo per esempio come una malattia, e il vissuto che ne deriva è di sofferenza.
E’ possibile mantenere la coerenza e la continuità del proprio senso di sè attraverso schemi di riferimento classificati da Guidano in quattro principali organizzazioni di significato personale.
Le organizzazioni individuate sono:
Organizzazione di significato personale depressiva: può essere definita come la tendenza di un individuo a rispondere agli eventi di vita generalmente con scetticismo o sfiducia, come conseguenza della costruzione di significato di questi eventi in termini di perdita, di disillusione o d’insuccesso. Il significato personale è qui centrato sul senso di solitudine ed è organizzato con un’oscillazione emotiva prevalente tra la disperazione e la rabbia; con un’immagine negativa di sé e un’attribuzione interna delle cause di questa negatività.
Organizzazione di significato personale fobica: può essere definita come la tendenza di un individuo a rispondere agli eventi di vita generalmente con paura, come conseguenza della costruzione di significato di questi eventi in termini di pericolo. Tutto ciò che è nuovo è visto come pericoloso, e il mondo in generale è percepito come pericoloso e la percezione di sè stesso è quella di una personale fragile e insicura, che non può affrontare il mondo senza una figura protettiva.
Organizzazione personale di significato personale ossessiva: è caratterizzata fondamentalmente dall’elaborazione di un senso di sé ambivalente e dicotomico, nel quale l’esperienza immediata è vissuta in due dimensioni simultanee orientate in senso antitetico, un’immagine positiva di sé e una negativa. Ciò porta l’emergere di pensieri, condotte e immagini intrusive e persistenti vissute come estranee da sé e che sono controllate ricercando la certezza attraverso il dubbio sistematico.
Organizzazione di significato personale tipo disturbi alimentari psicogeni: è caratterizzata da un senso di sé vago oscillante e indefinito, che si definisce soltanto attraverso il giudizio degli altri e quando si ha la sensazione di corrispondere alle aspettative degli altri. Per mantenere stabile il senso di sé devono perciò mantenere stabile il giudizio degli altri da qui la necessità di cogliere e aderire alle aspettative degli altri.
Sottolineo che le organizzazioni di significato hanno questi nomi poiché sono nate all’interno della psicopatologia clinica ma attualmente nell’approccio postrazionalista non stanno ad indicare quadri di disturbi psicopatologici, ma al contrario modalità di processare la conoscenza e il loro nome può indicare i disturbi che si presentano più facilmente in caso di scompenso organizzativo.
Come si pone di fronte alla sofferenza la psicoterapia cognitiva post razionalista?
La psicoterapia cognitiva post-razionalista mira ad aiutare il cliente-paziente a riconoscere, capire e concettualizzare la propria “coerenza di significato personale”, partendo dalla comprensione di come la persona sperimenta il suo modo di essere. Non ha come obiettivo che il paziente raggiunga dei criteri di verità più oggettivi o che modifichi le proprie convinzioni irrazionali (come accade invece nella psicoterapia cognitiva tradizionale di Beck e di Ellis), o che risolva la conflittualità tra le istanze dell’Io, ma ha l’obiettivo di allargare la trama narrativa del paziente, consentendogli di autoriferirsi l’esperienza immediata di cui non è consapevole, riconoscendo e aggiustando delle discrepanze tra l’immagine cosciente di sé (espressa tramite il linguaggio) e l’esperienza immediata (vissuta per mezzo delle emozioni).
L’obiettivo finale dell’intervento terapeutico è quello di arrivare ad un’ articolazione del significato personale.
La crescita della consapevolezza di come ogni individuo costruisce l’autoconoscenza personale: come si presenta, come si riconosce, come si spiega e crea delle attribuzioni porta generalmente alla scomparsa dei sintomi.
Ritorniamo al punto di partenza: la psicoterapia e in particolare la psicoterapia cognitivista post razionalista si muove all’interno di criteri bioetici?
I presupposti teorici ci danno il senso di come si inserisce una psicoterapia post razionalista nella vita di un individuo, rientra proprio negli assunti di base il rispettare l’individualità della persona, la sua specificità.
La psicoterapia post razionalista è una terapia che rispetta i principi bioetici e questo soprattutto per due motivi: in primo luogo rispetta le caratteristiche individuali della persona, in secondo luogo non si adopera per curare la persona nel senso di eliminare i sintomi, ma per dare coerenza alla sua sofferenza e farle riprendere il percorso di vita fermato dalla sofferenza.
In un’ottica post razionalista il sintomo e le forti oscillazioni emotive che lo accompagnano non sono lette semplicemente come una psicopatologia ma come un segnale di cambiamento da cui si può generare sia una psicopatologia, che una maggiore articolazione (intesa in senso di sofisticazione), della propria organizzazione di significato personale. Il che è molto più dignitoso per l’essere umano che soffre.