Storia della Psicologia – J. Bowlby e la Teoria dell’Attaccamento – (32)

Storia della Psicologia – J. Bowlby e la Teoria dell’Attaccamento – (32)

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Nella seconda metà dei primi sei mesi, si cominciano a manifestare i primi segnali di una relazione d’attaccamento. Il bambino diventa più discriminante nel guardare. Egli ascolta e reagisce differentemente alla voce di sua madre; piange diversamente quando lei se ne va rispetto a quando se ne vanno le altre persone; la saluta differentemente e comincia ad alzare le braccia verso di lei per essere preso in braccio. La madre a sua volta reagisce ai segnali del suo bambino in modo tale da stabilire un sistema reciproco di feedback e di omeostasi. Si crea una relazione interattiva in cui madre e bambino si conoscono reciprocamente e questa è la base per lo stabilirsi di un attaccamento sicuro.
Nella seconda metà del primo anno si manifesta il vero e proprio attaccamento. Verso i sette mesi il bambino comincia a mostrare l’ansia per l’estraneo, facendosi silenzioso e aggrappandosi alla madre in presenza di una persona sconosciuta.
Nel secondo anno il bambino comincia a camminare e questo significa che sarà in grado di andare verso la madre se si sentirà in pericolo o per qualche altro motivo.
Per esempio se viene messo in una situazione nuova, il bambino cercherà di guardare la madre per capire dal suo sguardo se può allontanarsi o meno, se può esplorare il nuovo ambiente o è meglio che stia vicino alla madre.
Con l’acquisizione del linguaggio e l’aumento della propria complessità psicologica, verso il quarto anno, il bambino può cominciare a pensare ai genitori come persone separate da sé e a capire quali sono i loro progetti e i loro scopi, nonché a pensare un modo per influenzarli. Così se una sera i genitori vogliono uscire, il bambino può cercare di convincerli a stargli vicino supplicandoli o mostrandosi triste, piuttosto che piangendo o aggrappandosi a loro come avrebbe fatto qualche tempo prima.
Man mano che si avvicinano all’adolescenza, i bambini tollerano periodi sempre maggiori di separazione dai loro genitori. Questo non vuol dire che l’attaccamento sia stato superato: l’attaccamento e la dipendenza, anche se meno evidenti, rimangono attivi per tutta la vita.

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Storia della Psicologia – J. Bowlby e la Teoria dell’Attaccamento – (29)

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La teoria dell’attaccamento

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Nell’uomo, una caratteristica dell’attaccamento è che tale comportamento viene indirizzato prevalentemente verso un’unica persona privilegiata (figura d’attaccamento), che coincide in genere ma non necessariamente con la madre biologica, la quale risponde alle richieste di aiuto e conforto del bambino con il corrispondente comportamento di accudimento.

La preferenza per una figura d’attaccamento non va intesa in senso assoluto: gli attaccamenti di un bambino piccolo possono essere immaginati come una gerarchia: solitamente, ma non necessariamente, con la madre al vertice, seguita da vicino dal padre (o, raramente, il padre seguito dalla madre), poi i nonni, i fratellini, gli zii e così via.

I bambini piccoli in grado di camminare, sono fortemente inclini a seguire le loro figure di attaccamento ovunque esse vadano. La distanza alla quale il bambino si sente a suo agio dipende da fattori come l’età, il temperamento, la storia dello sviluppo, dal sentirsi affaticato, spaventato o malato, aspetti questi che aumenteranno il comportamento di attaccamento. Separazioni recenti dalla figura di attaccamento (malattia, viaggi, etc….), indurranno una maggiore ricerca di vicinanza.
La consapevolezza di poter contare sulla protezione e il conforto della figura d’attaccamento in caso di necessità, crea uno stato di sicurezza emotiva da cui è possibile partire per l’esplorazione: esplorazione del mondo esterno e del proprio mondo interiore (i propri sentimenti, i propri pensieri).
Infine, la prova migliore della presenza di un legame d’attaccamento è l’osservazione della reazione alla separazione. Bowlby identificò la protesta come la risposta primaria provocata nei bambini dalla separazione dai genitori. Pianto, grida, urla, morsi, calci: questi che sembrano cattivi comportamenti sono la reazione normale alla minaccia del legame di attaccamento e presumibilmente hanno la funzione di cercare di ripararlo e, punendo chi si cura del bambino, di evitare ulteriori separazioni.

Una caratteristica importante dei legami di attaccamento è la loro resistenza anche di fronte a maltrattamenti e punizioni. Nell’esperimento di Harlow, le scimmiette si aggrappavano più forte alle madri di stoffa, anche quando da queste usciva un getto di aria compressa. Questo fatto è solo apparentemente inspiegabile: un fattore stressante (il getto d’aria appunto), stimola il comportamento di attaccamento anche se a fornirlo è la stessa figura che offre protezione.

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John Bowlby – La Teoria dell’Attaccamento – (26)

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John Bowlby: la teoria dell’attaccamento

Ma come arriva ogni individuo a costruirsi un certo modo di conoscere la realtà piuttosto che un’altro? Quali aspetti della vita personale sono rilevanti in questo senso?
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Era chiaro che la radice dei problemi emotivi della vita adulta si dovesse far risalire ad eventi dell’infanzia, non era chiaro quali dovevano essere gli aspetti da considerare più importanti in questo senso.
Negli anni ’30, un filone della corrente psicoanalitica aveva cominciato a prendere in considerazione le relazioni oggettuali, cioè il rapporto con la madre, come area di studio per spiegare lo sviluppo delle nevrosi e della sofferenza psichica.
Fino ad allora si riteneva che i bambini di pochi mesi non avessero capacità di relazione o di apprendimento e che il motivo per cui sviluppavano uno stretto legame con la madre era che lei lo nutriva. Si riteneva che la fame fosse un bisogno primario e la relazione personale un bisogno secondario.
Gli studi successivi hanno dimostrato il contrario, il primo di questi è stato il lavoro di J. Bowlby.

John Bowlby (1907-1990), psichiatra, psicanalista, entra a far parte della Società psicoanalitica negli anni Trenta. In quel periodo la Società era divisa in due opposte fazioni guidate da una parte da Melanie Klein e dall’altra da Anna Freud, che si scontravano su alcuni aspetti teorici della psicoanalisi. Abbiamo visto che Freud considerava fondamentale il complesso edipico per lo sviluppo della nevrosi e si era occupato poco della relazione madre-bambino. La Klein introduceva invece l’importanza del rapporto con la madre soprattutto nei suoi aspetti fantasmatici, Anna Freud al contrario, rimaneva fedele al punto di vista paterno.
In questa atmosfera caratterizzata dalla lotta per la supremazia, Bowlby cercò di trovare un suo spazio portando avanti due discorsi: il primo, quello di dare scientificità alla psicoanalisi e di rivedere la teoria freudiana alla luce delle più recenti scoperte scientifiche, dei meccanismi di feedback e dei processi di informazione, il secondo di riconoscere all’ambiente un ruolo importante nell’eziologia delle nevrosi.
La base scientifica per la teoria, gli fu offerta dall’etologia. Bowlby rimase colpito dagli studi sull’imprinting di Konrad Lorenz (1949).

Il termine imprinting sta ad indicare quel fenomeno per cui i neonati uccelli appena usciti dal guscio tendono a seguire il primo oggetto che vedono in movimento e si comportano nei suoi confronti come se fosse la madre.
imageLorenz studiò inizialmente questo fenomeno in alcune specie di uccelli da cortile. Il suo lavoro dimostrava che la fissazione sull’oggetto (genitori o loro sostituti), poteva avvenire in un periodo di tempo breve, definito periodo critico, immediatamente successivo alla schiusa. Il forte legame che si creava nei confronti di una specifica figura materna poteva avvenire senza l’intermediazione del cibo perché molti piccoli uccelli si nutrivano da soli sin dalla nascita, catturando gli insetti.
Lorenz aveva osservato inoltre che esperienze di mancato imprinting avevano conseguenze sulla vita adulta. Individui che erano stati isolati durante il periodo critico, una volta adulti non riuscivano ad inserirsi nel gruppo naturale animale se non in posizioni gerarchicamente basse, caratterizzate da un disimpegno quasi totale nelle decisioni da prendere per la sopravvivenza del gruppo. Anche il comportamento sessuale risultava disturbato, animali allevati completamente dall’uomo nel periodo dell’accoppiamento rifiutavano i loro simili e cercavano di accoppiarsi con i loro allevatori umani.

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