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Figli è la storia di Nicola e Sara, sposati, con una figlia di 6 anni, alle prese con la nascita del secondo figlio, che si rivela subito più impegnativo della sorella maggiore.

È indubbiamente apprezzabile nel film il ricorso all’ottava sinfonia di Beethoven per rappresentare il pianto del nuovo arrivato che avrebbe messo a dura prova la resistenza degli spettatori. Sappiamo bene quanto possa essere attivante il pianto di un neonato: straziante, assillante, allarmante, fatto per mobilitare velocemente l’ambiente circostante.

Notti insonni, perdita di spazi personali e della coppia, senso di non poter contare sull’aiuto di genitori e amici, sono all’origine per Nicola e Sara di frustrazioni e incomprensioni che aprono una crisi coniugale che sembra irrisolvibile.

Sono andata a vedere il film, tra gli altri motivi, perché incuriosita dai commenti critici girati in mailing list da alcuni colleghi sulla figura della pediatra guru che i due genitori consultano in piena crisi: secondo loro andava a sostituirsi a quella che avrebbe dovuto essere la presenza di uno psicologo.

In realtà, dopo la scena del primo colloquio con la suddetta, dentro di me ho tirato un sospiro di sollievo, perché per una volta non eravamo noi ad essere rappresentati con un’immagine professionale inadeguata. La pediatra sembrava offrire pochi strumenti ai due genitori, oltre che essere poco coerente nelle risposte con il problema e con le richieste presentati: i due genitori escono dal colloquio più disorientati di come erano entrati, con una parcella salata da pagare e una ricetta per centinaia di euro di medicine.

Poi, non contenti di come era andato il primo, i due tornano per un secondo colloquio. Nell’intervallo di tempo tra il primo e il secondo incontro la pediatra guru deve aver fatto un corso di aggiornamento, perché stavolta entra più nel merito delle dinamiche psicologiche (e questo effettivamente sarebbe stato gentile farlo fare a uno psicologo visto che è il suo ambito di competenza), e offre ai due esausti genitori una rilettura delle dinamiche relazionali in corso, che realmente aiuta i due a uscire dallo stato di confusione e a riorientarsi prendendo consapevolezza dello stato di cecità affettiva in cui si trovano e della necessità di affrontare il momento insieme, sforzandosi di rimanere presenti, di evitare “fughe”.

La cecità affettiva è abbastanza caratteristica dei momenti di crisi e sofferenza della coppia: nel nostro caso Nicola si aspetta di essere apprezzato per quello che fa, che gli sembra essere tanto per lo sforzo che gli costa (anche se poi riconosce che si confronta con un modello maschile tradizionale, quello di suo padre, in cui l’uomo in casa non muoveva un dito), e non si accorge degli sforzi e del disagio di lei. Sara vorrebbe essere più sostenuta e alleggerita nelle responsabilità, vorrebbe che lui la aiutasse a riprendersi i suoi spazi vitali, cosa che da sola non riesce a fare e a sua volta non coglie il disagio e gli sforzi di lui.

La coppia di Figli è in realtà una coppia anche “fortunata” perché i problemi arrivano con il secondo figlio, per molte coppie è il primo figlio a innescare la crisi, per questo motivo spesso rimane anche l’unico.

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